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Farhad, l'afgano

8/26/2021

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«Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi trentatré anni di vita. Adesso le racconto. Ho lasciato le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità».
Farhad nasce a Kabul nel 1986, ultimo di sei fratelli. Suo padre è un generale dell’esercito di Mohammad Najibullah Ahmadzai, il quarto e ultimo presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan.
Ma quando nel 1992 i mujaheddin tornano al potere, suo padre deve rinnegare il passato e diventare un mujahed, se vuole sopravvivere.
Lo fa.
Farhad è ancora un privilegiato, può studiare, mangiare, persino farsi prestare le armi dai soldati che presidiano la grande casa in cui abita, ci gioca, quello che desidera di più è un futuro da combattente.
È arrogante, sprezzante.
Racconta di quando, nel corso di un pasto, un bambino scheletrico e sporco tenta di rubare un pezzo di carne e lui lo caccia insultandolo come un cane. È la madre a sgridarlo, a ricordargli che poteva essere in quella stessa condizione.
E quella condizione arriva anche per lui, quando i talebani strappano il potere ai mujaheddin, la sua famiglia cade in disgrazia.
Suo padre va in prigione, lui, sua madre e i suoi fratelli vivono fuori dalla città, non si mangia tutti i giorni, ora il cane è lui, figlio di un mujahed.
Nel giorno di festa va allo stadio con i suoi amici, lì vengono lapidate donne e infedeli.
È un grande spettacolo. Gli piace, deve piacergli se vuole stare in gruppo.
“Ti piacerebbe se capitasse a me?”, gli chiede sua madre.
L’anima di Farhad non è ancora nera, non del tutto, un filo di luce resiste, lo mantiene vivo.
Suo padre sta collaborando con gli americani. Viene organizzata la loro uscita dall’Afghanistan, verso il Pakistan dove suo padre attende in esilio.
Il regime viene ancora rovesciato. Le forze alleate entrano a Kabul, cadono i talebani, il padre di Farhad può rientrare in patria ma non è una buona cosa stare lì, i suoi genitori ne discutono, deve vedere un altro mondo Farhad, non gli piace come sta crescendo.
Il nuovo governo afghano manda il padre a Roma, come ambasciatore.
Quando scende all’aeroporto, Farhad è terrorizzato.
Dopo anni di indottrinamento fondamentalista, gli sembra di vedere il diavolo. Tutti quegli infedeli, tutti insieme, non li aveva mai visti.
“Dio dammi la forza di ucciderli tutti.”, questa è l’unica cosa che riesce a pensare.
Ma il tempo passa e, molto lentamente, grazie a sua madre ed anche a suo padre, il suo atteggiamento cambia.
Va a studiare a Modena e poi a Torino. Qui stringe amicizie solide.
In un inverno piemontese si ammala, ha la febbre molto alta. La famiglia di un suo amico, siccome lui è solo, lo ospita e la madre lo cura con grande dolcezza. Lui semplicemente non capisce. Non sa spiegarsi quella umanità in una donna infedele. Gli avevano insegnato che gli altri sono tutti mostri, come è possibile?
Quando guarisce si accorge di un crocefisso sul muro della camera dove è stato ospitato. “Ecco!”, pensa, “tutta questa dolcezza serve solo a convertirmi!”.
Sembra averne conferma una mattina quando questa signora gli chiede di accompagnarlo e fare compere e, lungo il tragitto, si ferma in chiesa. Lui punta i piedi, non entra, la aspetta fuori. Lei intuisce e gli dice che non c’è problema. Che ognuno preghi il dio che preferisce.
Per la prima volta nella sua vita, per la prima volta in assoluto, nella mente di Farhad si fa largo un’idea.
Si può vivere insieme senza farsi la guerra.
Non ci aveva mai pensato.
 
Oggi Farhad ha fatto una scelta coraggiosissima. Fa il mediatore culturale in Italia. Ha uno stipendio normale, lui che, figlio di un uomo importante, poteva essere ricchissimo. È rimasto solo perché i suoi amici pensano che sia uno stupido ad aver fatto questa scelta, poteva essere ricco, prendersi parte dei tanti soldi degli aiuti internazionali. Ma lui non lo ha fatto perché ha pensato che si può vivere insieme senza farsi la guerra.
Chissà cosa pensa ora che Kabul e l’Afghanistan sono stati riconsegnati ai talebani.
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