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Il direttore dell'Aldilà

5/5/2021

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Me lo sono sempre immaginato come un immenso spazio vuoto, illuminato fiocamente da un sole bianco e pallido che non si muove dall’orizzonte. Una immensa pianura senza alberi, indistinta, con una nebbia bassa che attenua ogni rumore, arrotonda ogni profilo e poi tante teste, in fila, disposte secondo un ordine preciso.
Chissà come se l’era immaginato Alberto Savinio, questo suo al di là, nell’"Alcesti di Samuele".
La storia è questa: Siamo in piena seconda guerra mondiale e Paul Goerz, è   un   editore   musicale   di Monaco.
In seguito all’inasprirsi delle leggi razziali Paul   viene   convocato   in   Ministero   per   importanti comunicazioni: il problema è la moglie, Teresa. Lei è ebrea, Paul deve scegliere: o restare con lei o continuare a lavorare. Paul non ha dubbi, sceglie lei ma Teresa fa un’altra scelta si uccide gettandosi nel fiume, sacrificandosi come fece l’Alcesti di Euripide.
Paul, come Orfeo per Euridice, mito nel mito, scende agli inferi per salvarla e qui incontra uno strano personaggio. Il direttore, lo chiamano. È in quella pianura tetra che prima descrivevo o almeno io me lo sono immaginato così. Magro, elegante, ritto, senza ombra. È lui a spiegargli come le cose funzionano da quelle parti. Al contrario di tutto quello che si pensa non tutti passano di lì, solo una infima minoranza, cioè quelli che hanno da liberarsi da una personalità compatta.
Gli altri no, non ci sarebbe ragione.
Gli altri semplicemente passano, un corteo nero e silenzioso che si annienta rapidissimamente. Sono nati per una impercettibile scintilla di vita che subito si spegne e, già la vita, la attraversarono come morti e quindi ora spariscono, come una colata di catrame bollente dentro una caldaia di catrame bollente. Però, ci sono gli altri, i duri a morire.
Qualcuno, là sopra, nel mondo, fantastica, ipotizza che la loro dissoluzione laggiù sia proporzionale alla durata della loro fama sulla terra ma è una spiegazione intellettualistica.
La verità sta tutta nella personalità: tanto più è compatta, tanto è più lenta a disgregarsi.
È chiaro, semplice.
Rimbaud è più lento a morire di Aleardo Aleardi, faticano a morire anche Weininger, Lautremont, Kafka…altri che invece si diceva che avessero una fame indistruttibile si annullano anche prima del previsto…come quello in terza fila reparto C e quell’altro, fila 10 reparto P, Carducci e Pascoli, posti vuoti entrambi.
Chissà cosa aveva Savinio contro Carducci e Pascoli.
Il momento più terrificante è quando descrive quanto si sforzino di morire, stringendosi come spugne per farsi assorbire, spalancando la bocca a pieni polmoni come il malato in sala operatoria respira l’etere dell’anestesia e come soffrano quando sentono che la morte non apre le fauci. È infastidito il direttore, il loro tormento lo disturba, soprattutto di notte.
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