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L'Ucraina di mio nonno

3/23/2022

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Fuoco e fiamme sul fronte orientale. Sentite come questo termine suona antico ed eppure tremendamente attuale. C’è una guerra di cui ci importa, perché potrebbe fare male anche a noi. Nelle ultime 72 ore ci sono stati bombardamenti anche in Siria, Yemen, Somalia, per non parlare di quelli a cui abbiamo assistito, senza porci troppi problemi, negli ultimi anni. Ed anch’io, come tutti, sono stato particolarmente colpito da questa “guerra in Europa”, più che dalle altre, anche, devo dire, per una storia di famiglia. Mio nonno raccontava poco e malvolentieri della campagna di Russia.
Ogni tanto sputava fuori a stento qualche nome che sento oggi ripetere al telegiornale mentre scorrono immagini di esplosioni e carri armati e mi fa impressione. Sono le stesse zone, la stessa terra, lo stesso fiume dove hanno mandato mio nonno quando aveva 19 anni, insieme ad altri 230.000 ragazzi. Più di 114.000 non tornarono più a casa. E anche fra gli oltre 84.000 dispersi, poco più di 10.000 si salvarono, mio nonno era fra i fortunati, altrimenti col cazzo che ero qui a fare un podcast.
Quella volta gli invasori eravamo noi e l’Ucraina era ancora Unione Sovietica. Mio nonno stava nella divisione cuneense, accanto alla Iulia e alla tridentina quella del sergente nella neve, di Rigoni Stern, della battaglia di Nikolaevka. Alpini che dovevano andare nel Caucaso e poi si sono ritrovati in pianura, impreparati e mal equipaggiati.
Bella guerra è stata. Mio nonno si ricordava solo il freddo, la fame e la tristezza. Non ha sparato un colpo. Ricordava l’altoparlante dell’Armata Rossa che, in italiano, 3 volte al giorno, gracchiava: “Italiani, ritiratevi, faremo un’offensiva che arriveremo a Berlino” e gli ufficiali italiani che dicevano: “hanno paura”. Ricordava che con quell’altoparlante diffondevano canzoni italiane, a mio nonno piaceva cantare, si commuoveva, pensava a casa, l’intento era quello.
Poi i Russi si sono mossi a tenaglia, hanno stretto il fronte in una sacca e all’improvviso bisognava ritirarsi e farlo in fretta, altrimenti l’armata rossa avrebbe chiuso il cerchio e sarebbero rimasti dentro, come tonni in una tonnara. Così si sono messi a camminare, più in fretta possibile, 25 giorni senza quasi fermarsi, con temperature che arrivavano a -30. Eppure la cosa terribile non era neppure questa.
La cosa terribile era quella specie di museo di statue bianche al lato della colonna. Ragazzi che, stremati dalla fatica, si erano appoggiati, addormentati, ed erano morti congelati, senza quasi accorgersene, chi in ginocchio, chi sdraiato, chi appoggiato ad un albero nero. Senza contare quelli che chiedevano aiuto, perché non riuscivano più a camminare e tu sapevi che, aiutarli, avrebbe significato condannare anche te a morte certa. E allora non ci si fermava, li lasciavi lì a morire.
Mio nonno è stato fortunato e forte, ha continuato a camminare, ha trovato contadini che lo hanno fatto riposare qualche minuto accanto ad una stufa, in un’isba, gli hanno dato un po’ di formaggio, da bere. Una donna addirittura gli regalò un colbacco e gli salvò la vita. Lui voleva attraversare un campo per tagliare la strada, lei gesticolando e saltando gli fece capire che era un campo minato. Quando arrivò a Rostov, mi pare, c’erano un sacco di compagnie sbandate, un magazzino preso d’assalto dai soldati che facevano incetta di liquori e zucchero.
Qui mio nonno ha trovato un suo amico, del suo paese. E questo è davvero un miracolo visto che mio nonno viveva in un paese che oggi conta 79 abitanti…allora forse qualche centinaio ma insomma… Questo ragazzo era ubriaco marcio, aveva esagerato con i liquori ed era sdraiato a terra. Mio nonno aveva capito che c’era un treno merci che sarebbe partito di lì a poco e la direzione era quella giusta. “Dai, dai, andiamo!”, gli disse, ma questo non capiva niente, biascicava, barcollava, faceva resistenza. Allora mio nonno gli ha dato un pugno, sì, sì, proprio un pugno, lo ha tramortito, se l’è caricato in spalla e l’ha buttato sul treno. Ho questo ricordo, di quando ero bambino e andavamo a trovare i parenti. C’era sempre un signore che, quando arrivavamo, abbracciava mio nonno e piangeva.
Era quel ragazzo lì.
Insomma mio nonno è stato un eroe, a suo modo, anche se credo che volesse solo vivere e tornare a casa. Se potessimo capire solo questo, che essere eroi non serve a nessuno, tutto quel che serve è essere vivi e tornare a casa. Non è una morale eh, che sia chiaro, le morali sono inevitabilmente banali tanto quanto le guerre sono stupide.
Questa è solo una storia, come tutte quelle che racconto.
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