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Malala Yousafzai: auguri dottoressa!

3/6/2021

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Un cugino di Yuaddin Yousafzai un giorno arriva a casa con un regalo, è un quadro, rappresenta l’albero genealogico della famiglia, per Yuaddin, c’è qualcosa che non va, almeno ai suoi occhi che sanno guardare un po’ più in là, in quell’albero non ci sono donne, solo uomini, come se quegli uomini non li avesse partoriti nessuno, come se non avessero sorelle, cugine, zie, sono sparite, cancellate. Yuaddin fa una cosa: prende il quadro e aggiunge il nome di sua figlia.
Sua figlia, crescendo, lavorerà per scrivere molti altri nomi, di altre donne, che neppure conosce, sottraendoli all’oblio, al buio.
Yuaddin e la sua famiglia vivono in posto bellissimo, cioè, io non ci sono mai stato ma ho visto le foto e viene voglia proprio di passeggiarci nella swat valley, magari proprio a Mingora, dove vive la famiglia Yousafzai, ci sono piccole case dalla tinte vive costruite sul fiume, un piccolo ponte di legno, alte vette spruzzate di neve e i colori hanno quell’intensità che la luce di montagna è capace di donare. Sarebbe bello farci un giro, poi, a sentire lei, la figlia di Yuaddin, la gente è particolarmente ospitale, amorevole, certo, magari il suo racconto è influenzato dalla nostalgia, è stata via per molto tempo ma, a dar retta alle antiche tradizioni della sua gente, sembra proprio avere ragione. E’ tradizione nel corso della giornata che le porte restino aperte, tu puoi presentarti senza avvertire o addirittura entrare dentro casa, e ti verrà offerto un the, la cena, puoi anche rimanere, magari il capofamiglia, alla lunga si scoccia ma a te non lo darà mai a vedere, ti tratterà benissimo.
Pare che i Pashtun facciano così da 6000 anni.
Ora dipinto così sembra un quadro fin troppo idilliaco, può darsi che così non sia stato mai, certamente non è stato più così da quando i talebani hanno preso possesso della valle e, fra gli altri divieti hanno proibito alle bambine e alle giovani donne, di andare a scuola.
La figlia di Yuaddin è poco più di una bambina però non ci sta, inizia a protestare, fino a quando si potrà, partecipa a manifestazione, tiene comizi, scrive blog, denuncia i soprusi dei telebani sui social media.
Parla solo del diritto all’istruzione, non nominare i talebani, le dicono il padre e la madre.
“Ma come si fa a parlare del problema senza nominare il problema?” forse pensa lei.
E forse è quando Malala riceve il premio internazionale della pace per bambini che inizia a dare davvero fastidio, a fare davvero paura: è ricevuta dal capo del governo, dal primo ministro, è una vera celebrità in patria, ora.
Quando ha 15 anni, mentre sta tornando da scuola, sul bus, insieme ad alcune sue amiche, un ragazzino, ha più o meno la sua età, probabilmente lo hanno convinto che lei sia il diavolo, le spara in testa.
Il proiettile la colpisce a sinistra della fronte, tocca il timpano e il nervo facciale, attraversa il collo e arriva fino alla spalla. Il cervello si gonfia, è necessario rimuovere una parte del cranio.
Lei non ricorda nulla di tutto questo ovviamente, ricorda solo di essersi svegliata al Queen’s Elizabeth Hospital di Birmingham, in Inghilterra.
Non capisce cosa sta accadendo, non sa che migliaia di persone nel mondo stanno manifestando per lei, pensa solo a tornare a casa. Quando telefona al padre le chiede di portarle i libri di fisica perché in marzo avrà gli esami e deve finire dei compiti. Non sa che il padre con tutta la famiglia è già ad Islamabad e sta prendendo un volo per raggiungerla.
Qualcuno, tempo dopo, le chiederà se pensa che ciò che accade nella vita abbia una ragione, lei dice che non lo sa, quello che sa è che puoi prendere una decisione, tu puoi dare una ragione alla tua vita.
Ed è quello che fa lei proseguendo sulla strada che già aveva imboccato, dedicando la sua vita affinché le bambine e i bambini, abbiano accesso ad un’istruzione di qualità, possano avere un’opportunità, possano esserci, esistere, partecipare.
Seppur molto distante nel tempo e nello spazio, ecco la storia di un'altra grande donna: CLICCA QUI

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