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Moby Dick

2/12/2021

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In tutto il mondo anglosassone, specie nel mondo della finanza, quando uno si pone un traguardo irraggiungibile, quando qualcuno ha una specie di ossessione per una meta velleitaria, si dice che è una balena bianca.
Melville, a 20 anni, da solo, scopre quanto può essere pericoloso un capodoglio di 20 metri, lo scopre perché si imbarca su una baleniera.
Un animale di quelle dimensione può arrivare a pesare come 8 elefanti.
Però, lì per lì, non ha ancora in testa di scriverci niente, anni dopo ci saranno due racconti che lo colpiranno molto: uno riguarda la baleniera Essex e il suo capitano George Pollard, alla Essex succede di essere attaccata da un capodoglio di oltre 26 metri a più di 2000 miglia dalla costa. La attacca due volte e la distrugge. L’equipaggio composto vaga per 95 giorni sotto il sole implacabile del Pacifico. Molti di loro muoiono di sete e vengono mangiati dai compagni.
La seconda storia che lo colpisce, gliela raccontano, è quella di Mocha Dick, un’enorme leggendaria balena che aveva distrutto centinaia di imbarcazioni.
Era un mito nell’ambiente dei marinai che veniva alimentato nei racconti delle taverne e si arricchiva via via di particolari.
Si diceva fosse una bestia terribile che portava sul dorso decine di arpioni arrugginiti a testimonianza dei tanti tentativi falliti di ucciderla.
A 30 anni Melville è un uomo che ha tutto quello che si può sognare: ha già girato il mondo, ha pubblicato 5 libri dei quali 2 sono stati dei best sellers assoluti, è sposato con una bella ragazza di buona famiglia, possiede una fattoria, frequenta i circoli più in vista, firma autografi, però, forse nel momento più sbagliato decide di scrivere la storia del capitano Acab, che è Pollard, e la storia di una enorme balena, che è Mocha Dick, o come deciderà di chiamarla lui Moby Dick.
E non scriverà in quel modo gioioso dei suoi primi romanzi, ha l’ossessione di scrivere una storia diversa, una lotta contro un mostro che è anche una lotta metafisica.
Le critiche letterarie lo distruggono: “spazzatura letteraria”, “crimini contro la lingua inglese”, addirittura c’è un giornale che scrive che i suoi lettori si augurano che Melville faccia la stessa fine delle sue balene e dei suoi marinai, cioè sprofondi negli abissi marini.
Melville perde tutto, completamente, tutto, come spesso capita quando si insegue un’ossessione.
Finirà la sua vita lavorando come ispettore doganale e quando morirà, per la sorpresa di tutti, perché tutti pensavano che fosse già morto da un paio di decenni, comparirà solo un piccolo necrologio, su un giornale, 6 righe.
Se nella sua vita l’ossessione gli ha fatto perdere tutto, quello stesso sentimento, unito al suo talento, ha dato forma ad uno dei più grandi classici della letteratura americana.
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