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Sir Ernest Shackleton o dell'audacia

7/8/2021

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Foto

Spedizione Endurance, anche conosciuta come spedizione imperiale trans-antartica.
Obiettivo: attraversare l’Antartide via terra e a piedi con slitte trainate da cani.
Distanza da coprire: 2900 Km.
Distanza media prevista: da 24 a 32 Km al giorno.
Durata della spedizione esplorativa: da 3 a 4 mesi.
 
Tutto è pianificato con grande attenzione, da una parte c’è l’”Endurance” comandata da Shakleton, che punta ad arrivare alla baia di Vahsel per poi proseguire a piedi.
Dall’altra parte del continente l’”Aurora”, comandata dal Aeneas Makintosh, dal canale MacMurdo sulla costa del mare di Ross, avrebbe provveduto a predisporre dei depositi di cibo e carburante.
L’avventura però fallisce ancora prima di partire, il 21 novembre del 1915.
Il pack, cioè la banchisa di ghiaccio del mare di Wedell, si stringe intorno allo scafo della Endurance, lo stringe come una tenaglia, la nave diventa ingovernabile e il 21 novembre del 1915, dopo 281 giorni dall’incagliamento, la pressione del ghiaccio la fa inabissare all’altezza del 70º parallelo latitudine sud.
È qui che inizia l’avventura vera, terribile e inaspettata, che trasforma un viaggio temerario in una epopea, uomini coraggiosi in eroi.
I 28 membri dell’equipaggio di Sheckleton, con provviste limitate e ad una temperatura che oscilla fra i -22 e i -45 gradi, sopravvivono, attendono, dormendo sul ghiaccio che qualcuno arrivi a salvarli ma l’orizzonte è bianchissimo oppure nero come la pece oppure grigio come un sepolcro ma sempre immobile, nessuno arriva.
Shekleton perciò, allo stremo delle forze, con tre scialuppe di fortuna, naviga, in qualche modo, con tutto l’equipaggio, in direzione dell’aurora boreale e riesce ad arrivare all’isola di Elephant, un’isola disabitata delle Shetland meridionali.
Da qui, con una sola scialuppa e solamente 7 uomini salpa ancora in direzione delle magnifiche luci dell’aurora boreale, nel tentativo disperato di raggiungere una base baleniera nella Georgia del sud, dotato solamente di un sestante e di un cronometro in uno dei mari più pericolosi ed inospitali che esistono sul nostro pianeta.
Riesce a percorrere 1600 chilometri e attracca a Grytviken.
Da qui riorganizza una spedizione per tornare a prendere i suoi uomini ad Elephant Island e con suo grande orgoglio, nessuno dei componenti del suo equipaggio morì nell’attesa, Shakleton riportò tutti a casa.
La storia potrebbe finire qui ma c’è un’appendice che mi piace sottolineare, di cui quasi nessuno parla mai.
Vi ricordate l’”Aurora”? La nave che dall’altra parte del continente avrebbe dovuto organizzare i punti di rifornimento per gli esploratori?
Anche a quella le cose non andarono bene.
Una tempesta in Antartide ruppe gli ormeggi della nave e 10 uomini dell’equipaggio non fecero in tempo a risalire a bordo e furono abbandonati al polo sud, con poche scorte e senza abiti di ricambio per quasi 20 mesi.
Shackleton, sempre lui, il nostro simbolo di coraggio, audacia e amicizia, arrivato in Nuova Zelanda fu avvisato che il gruppo del mare di Ross si trovava ancora fra i ghiacci.
Salpò per prestare loro soccorso e una settimana dopo raggiunse capo Evans dove 7 sopravvissuti, in questo caso purtroppo non tutti, furono recuperati e trasportati fino a Wellington.
Sir Ernest Shakleton morì di infarto il 5 gennaio del 1922 ma non nella sua Inghilterra ma a Grytviken. Il suo porto sicuro, un minuscolo villaggio affacciato su un mare glaciale che lui ha solcato sempre nella direzione giusta e, con la pace dei giusti, io spero e amo immaginare, lì a chiuso gli occhi.
Se ti piacciono le storie di mare e avventura, prova a LEGGERE/ASCOLTARE anche questa storia!


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