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Una madre alla stazione

3/23/2022

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Foto

Alla stazione di Zaporizhzhia c’è una signora con i capelli rossi, il viso sofferto, un po’ slavato, gli occhi chiari e gli zigomi alti, tipici delle donne dell’est. Abbraccia un bambino e poi gli scrive qualcosa sulla mano, da lontano non si vede cosa, non si vede quasi niente a dire la verità, è pieno di gente che si ammassa, urla, strepita, piange, scappa.
A Zaporizhzhia c’è pure una centrale nucleare, non una, LA centrale nucleare, la più grande d’Europa. Ci sono i soldati russi lì. Il bambino ha un cappello blu, con il pon pon, un piumino, si guarda un po’ attorno, si sistema uno zainetto sulla spalle esili, spalle di un bambino di dieci anni.
Hanno un bel peso ora da reggere.
A volte si dice che i bambini non capiscano bene cosa gli accade intorno. Non è vero. Credo che lui abbia capito tutto. L’orrore no, probabilmente quello non lo capisce, ma capisce cosa deve fare e credo avesse paura. Quella paura dei bambini, più sfumata di quella degli adulti ma più densa, inafferrabile, squamosa.
La signora ora lo abbraccia e lo mette sul treno e poi prega, se ha un Dio a cui rivolgersi, oppure spera, come facciamo tutti quando non sappiamo con chi parlare.
Quel bambino si fa 1000 chilometri, da solo, in mezzo a sconosciuti. Chissà se sul treno ha trovato qualcuno che lo ha incoraggiato o se si è fatto il viaggio tutto in silenzio, in mezzo ad altri silenzi, pesanti come i cappotti, pesanti come l’incertezza, come il buio. Fino a Leopoli, fuori dal finestrino, sembra scorrere il film di questi sentimenti: una piana fredda, innevata, scura. Case e strade distrutte. Poi sempre un po’ meno man mano che si viaggia verso ovest. Poi passa il confine, arriva in Slovacchia, sfiora Katowice, passa per Brno e infine finalmente arriva a Bratislava.
Qui ci sono dei volontari che sgranano gli occhi quando vedono arrivare questo ometto con il suo zainetto e il suo pon-pon. Un po’ spaesato, un po’ eroico. Dopo averlo portato al caldo, avergli dato qualcosa da mangiare e da bere, lui allunga la mano. Ora si vede cosa c’è: un numero di telefono e un breve messaggio della madre che ringrazia chiunque lo aiuterà. Ora sta con alcuni suoi parenti. È al caldo, sta bene. La madre è ancora a Zaporizhzhia, accanto alla madre, accanto alla centrale, sulle sponde del Nipro.
Ho scelto questa storia per celebrare uno dei sentimenti più nobili degli esseri umani. Mi riferisco alla fiducia verso gli altri esseri umani. Questa storia racconta come, proprio quando la fiducia nell’umanità dovrebbe essere perduta, una madre, per quanto costretta, sceglie di fidarsi degli altri, di affidare suo figlio alla compassione di estranei. E, nonostante tutto, credo che la vita si mandi avanti così.
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