Questa è una vecchia leggenda rielaborata e riaggiornata mille volte. Me l’ha raccontata un uomo in Nord Africa. Era un uomo al quale tutti riconoscevano una certa autorità. La storia dice così: Era un giorno di ordinaria confusione nella Camera Alta. Il vento portava con sé le particelle colorate, simili a minuscoli cristalli e le sbatteva sulla terra che, fra guglie e anfratti, delimitava una specie di confine, lassù in alto, dove nessuno riusciva ad arrivare a vedere. Laggiù invece, dove nessuno era mai stato, le onde del grande mare si infrangevano una contro l’altra, generando sbuffi di scintille che si raccoglievano qua e là per confluire infine nell’ampio fiume di fuoco che lo attraversava. Tra il sopra e il sotto, il lungo e il largo, il direttore della Camera Alta stava ritto come una lancia piantata nel niente. Era tremante e insicuro, era il suo primo giorno di lavoro. Intorno a lui saettavano gli operai luminosi che, lui lo sapeva, nonostante l’apparente indifferenza, non facevano che squadrarlo per capire se sarebbe stato all’altezza del predecessore, per intuire di quale materiale fosse fatto. Alla sua destra c’erano i Ricettori, guidati dalla veterana Abbraccio; per chi non distinguesse con facilità la destra dalla sinistra, si possono riconoscere perché, oltre ad emettere una luce ambrata, emanano anche un certo tepore che aumenta fino a diventare vero e proprio calore man mano che ci si avvicina. Alla sinistra del direttore invece, ed in senso opposto ai Ricettori, sfrecciano gli Avviatori, ugualmente luminosi, anche se i loro raggi tendono più all’azzurrino; essi hanno modi decisamente più spicci, seppur non privi di una certa grazia e gentilezza. Gli Avviatori portano e i Ricettori accolgono l’unico elemento lavorato in questa magnifica fabbrica celeste che non è nient’altro che la pasta viva. Proprio di fronte al direttore infatti ci sono due grandi oblò dai diversi contorni e dalle funzioni opposte: uno soffia e l’altro aspira. I Ricettori si mettono di fronte all’oblò che soffia e accolgono l’incessante processione di quelle che voi chiamate anime o spiriti o demoni, comprensibilmente spaesati, che hanno terminato il loro viaggio, osservano modifiche e ferite e le rappezzano per quello che possono, per poi portarle nella Stanza della Creazione. La Stanza della Creazione sta dietro la schiena del direttore ed è un locale dove è vietatissimo entrare. Al centro di questa stanza è installata l’Impastatrice, uno scalcagnato attrezzo vecchio come il mondo che nessuno, a queste altezze, si sogna di sostituire. Si alimenta ancora con vecchi carburanti, ecologici ma per niente moderni, come acqua, aria, fuoco e terra; ingoia gli ultimi venuti e li fa diventare un unico impasto brillante, tiepido e di perfetta densità che noi chiamiamo appunto “pasta viva”. In questo modo ogni caratteristica perduta o acquisita torna a diventare comune, com’era in principio, e si riequilibra e ridistribuisce secondo la sorte. Quando questo processo è terminato, da una seconda bocchetta, viene sputato fuori il nuovo essere, insieme antico e rinnovato. Non smette di essere buffo osservare la nuova creatura guardarsi intorno, pulita dalla memoria e ancora più interdetta e spaesata di quelle in entrata. Ogni tanto qualche operaio si lascia scappare un sorriso ma avendo sempre cura di farlo di nascosto da Fato, il loro veterano, che non ama questo genere di spiritosaggini in orario di lavoro. A questo punto gli Avviatori lo prendono in consegna, accompagnandolo all’oblò che aspira. Qui non resta che lasciarlo cadere ed iniziare a pregare che Esso abbia scelto l’involucro giusto, alle vostre bassezze; un involucro che sia abbastanza sensibile da ascoltarlo, abbastanza forte da resistere ai suoi ordini, abbastanza attrezzato per soddisfarlo, abbastanza coraggioso per arrivare fino in fondo. Il direttore, Abbraccio e Fato ed anche ogni singolo operaio sanno bene con quali e quanto profonde ferite arriva la pasta viva quando il suo involucro è stato sordo. Mentre il solito andirivieni intasava i cieli, un rumore greve ha fermato il respiro di tutti, se respiro ci fosse stato. La Camera Alta ha provato all’improvviso l’esperienza del silenzio che per millenni, con quella confusione giorno e notte, le era stata sconosciuta. Tutti gli sguardi si erano volti dapprima alla Camera della Creazione, dalla quale proveniva quel rumore stridente di bulloni arrugginiti, stantuffi e pulegge, e immediatamente dopo verso il direttore che, tutti si aspettavano, avrebbe dovuto sapere cosa c’era che non andava. Il direttore, se avesse potuto sudare, lo avrebbe fatto. Avrebbe lasciato scendere dalle sue tempie gocce copiose e gelate ma non fece nulla di tutto questo. Rimase fermo lì come una lancia piantata nel niente a pensare quanto la sorte fosse inclemente con lui nel dargli questa gatta da pelare proprio il primo giorno di lavoro. Conosceva a memoria mille procedimenti di emergenza ma nessun corso aveva mai previsto che quel vecchio trabiccolo potesse rompersi. Se l’impastatrice si rompe il mondo finisce nel giro di una generazione e c’è poco da mettersi lì a ragionare, bisogna ripartire da capo e sperare che Dio sia in vena di nuove idee. Ma che fatica! Riconvertire tutta la produzione, materiali nuovi, nuove norme di sicurezza, nuove macchine e procedure... Gli sguardi erano sempre più rivolti a lui e lo punzecchiavano come punte di coltelli, finché quel rumore anomalo cessò e la macchina sputò fuori la nuova creatura. Il silenzio divenne meraviglia. La combinazione delle combinazioni si era combinata. Gli operai si guardarono l’un l’altro come a cercare una conferma, poi si voltarono verso Abbraccio e Fato sperando in un cenno d’assenso che confermasse loro l’eccezionalità di quel miracolo. La conferma non venne da un cenno ma dall’immobilità dei veterani che non riuscivano a togliere gli occhi da quella perfezione di luce. Il quinto elemento si era infilato fra i filtri della macchina e aveva contaminato i quattro elementi, facendo sì che diventassero insieme loro stessi e gli altri. Una creatura nuovissima era pronta per venire al mondo e il mondo non sarebbe stato più lo stesso.
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