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Il Maracanazo

3/31/2021

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La disfatta che vi racconto ha un nome preciso che in Brasile si usa ancora per definire qualcosa di catastrofico. Il nome è MARACANAZO. L’Uruguay è protagonista perché si parla dell’ultima partita della Coppa del Mondo del 1950 fra Brasile e Uruguay. E il signore che abbandona le storie di calcio è Ary Barroso. Partiamo da lui. Potrei dire che è un radiocronista ma sarebbe un’ingiustizia. Ary Barroso è un musicista, un personaggio della radio prima e della tv poi, un umanista e anche un radiocronista. Anzi, IL radiocronista. Segue le partite del Flamengo e quando i Rubro_Negro segnano, lui ci mette un po’ di poesia. Si mette a suonare la Gancinha, una specie di armonica a bocca. Compone anche una canzone che diventerà un vero e proprio manifesto per il suo paese, questa meraviglia che sentite... Ma poi arriva il 16 luglio del 1950. La Seleçao con una marcia trionfale è arrivata alla finale dei campionati del mondo. Tutto il Brasile considera l’ultima partita contro l’Uruguay una pura formalità prima di scatenarsi in un carnevale improvvisato che, per la verità, dura già da un mese. Stadio Maracanà di Rio de Janeiro. 200.000 spettatori. 100 Uruguagi, il resto brasiliani. Un intero paese attaccato alla radio a farsi raccontare come il Brasile diventerà campione del mondo dalla voce amica di Ary Barroso. Al 2’ minuto del 2’ tempo il Brasile segna con Friaça. Sembra fatta. Lo stadio è un inferno. Se avessero ripreso a giocare immediatamente, sotto quella spinta il Brasile avrebbe segnato altre 2, 3, 10, 1000 volte. Obdulio Varèla lo capisce e con esasperante lentezza, riporta il pallone a centrocampo, protesta con l’arbitro, viene chiamato un interprete, passano 5 minuti, la gente si raffredda, la partita sarà una partita diversa. Al minuto 66 pareggia Schiaffino ma con il pareggio il Brasile è ancora campione del mondo. Al 77esimo Ghiggia segna il 2-1. 200.000 persone si ammutoliscono. All’interno dello stadio c’è un silenzio spaventoso. Ary Barroso, prende la sua Gancinha e se ne va. Non avrebbe mai più commentato una partita per tutto il resto della sua vita. In Brasile si registreranno 56 decessi per infarto, 34 suicidi. La nazionale Brasiliana da quel giorno cambiò casacca, non più bianca ma verdeoro, In Brasile furono indetti 3 giorni di lutto nazionale, Il celebre scrittore José Lins do Rego descrisse quegli attimi con queste parole: “Ho visto un popolo a testa bassa, con le lacrime agli occhi, senza parole.” Anni più tardi, lo stesso Varela raccontò di essere uscito quella sera a bersi una birra e vedendo in giro tutta quella gente distrutta, pensò solamente che non gli importava del titolo, gli importava solo di aver rovinato il carnevale. Poi ha incontrato un gigante brasiliano in lacrime che, quando lo ha riconosciuto, gli ha detto: “Obdulio vieni a bere un bicchiere con noi, vogliamo dimenticare!” E Lui ha pensato “Se devo morire stanotte, così sia”. Ed invece non gli è successo niente, in quella inspiegabile giornata del Maracanazo.
Se in Brasile si parla di calcio, le storie magnifiche non mancano! Prova a LEGGERE/ASCOLTARE questa!

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Quando Dante ha incontrato Dio

3/31/2021

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Ha fatto una strada lunghissima, pericolosissima, stupefacente. Ha visto animali orribili e sentito urla disperate, amici che aveva perduto, nemici che ha odiato, ha scrutato il futuro. Ha visto migliaia di anime in attesa che gli venga aperta la porta.
Adesso è arrivato alla fine del viaggio e desidera, con tutto sé stesso, di vederlo, solo per un momento, vuole vedere Dio.
Ma mica si prende appuntamento, Dante è un uomo, è un essere finito, non può guardare l’infinito. Ma lo vuole e lo chiede a San Bernardo. San Bernardo si impietosisce ma sa benissimo che le sue parole non hanno peso, per convincere Dio a mostrarsi, ci vuole qualcosa di più, bisogna che glielo chieda una donna, anzi, LA donna.
Si rivolge alla Madonna e glielo chiede: "Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta, più che creatura.”…glielo dice proprio, gli dice, se qualcuno vuole una grazia e non si rivolge a te, non ha nessuna possibilità di successo: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz’ali”.
E gli parla di Dante, gli dice: questo disgraziato qua ne ha passate tante, dalla selva oscura fino a qua, accontentalo, chiedi a Dio di mostrarsi e, aggiunge, fammi un altro favore. Fai in modo che lui lo possa vedere e rimanga sano. Perché, vedere Dio e non esplodere, per un essere umano sarebbe impossibile. Ci sarebbe troppo amore, troppa luce, troppa bellezza, tutte le cose, in un attimo solo, che un corpo non può contenerle.
A quel punto la Madonna si convince e per convincere Dio le basta uno sguardo solo perché i suoi occhi, gli occhi delle donne, erano da Dio  “diletti e venerati”.
“Indi a l’etterno lume s’addrizzaro, nel qual non si dee creder che si invii, per creatura l’occhio tanto chiaro.”
A quel punto Dio acconsente e Dante trasumana, cioè esce dal corpo e diventa esso stesso Dio, la sua vista, dice, diventa sincera, Bernardo gli sorride, come a dire: “ora puoi alzare lo sguardo” e lui lo alza e vede, finalmente vede “L’alta luce che da sé è vera”. Sapete cosa vede? Tutto. Da tutti i punti di vista. In un attimo eterno: Cesare che conquista le Gallie, tutti i galli che vedono arrivare i romani, ogni filo d’erba, ogni cavallo, sente tutti i sentimenti d’amore e tutto l’odio del mondo, è un ebreo che entra dentro una camera a gas, è il soldato delle SS che ce lo sta spingendo, è il cuore dell’innamorato quando la scintilla si accende, è gli occhi dell’innamorata quando ricevono la dichiarazione d’amore, è tutti gli amori finiti e tutti quelli che ancora devono venire, tutti i sogni, tutte le speranze, tutti i dolori del mondo, di tutte le persone, tutti gli alberi della foresta, i pesci degli abissi, gli animali che corrono e i cacciatori che sparano, il fuoco e chi lo accende, l’acqua e chi la beve.
Tutto. Da tutti i punti di vista. In un attimo eterno.
Quando torna in sé, nel suo corpo, è come ubriaco, stordito, è come colui che sogna e quando si sveglia non ricorda nulla, ha solo ancora una lontana sensazione ma senza essere in grado di raccontare, di spiegare di riassumere. Solo “ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa”. Si arrabbia con sé stesso Dante per non essere in grado di raccontare quello che ha visto. Ci prova, scrive: “Nel suo profondo, vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: "sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò che io dico è un semplice lume”. “Oh quanto corto è il mio dire e fioco il mio concetto!”
Si incazza, non riesce a dire quello che ha visto, provato, sentito. Capisce però perché nessuno davvero può vedere Dio fintanto che è uomo, perché è troppo, non si può contenere.
Ma lui deve. Deve raccontarlo a qualcuno, ha scritto tutta la commedia, ha attraversato tutto l’inferno, tutto il purgatorio e tutto il paradiso per arrivare alla cima e ora che ha visto la luce eterna, ora che ha visto il geometra di tutto, il grande architetto DEVE trovare una frase per raccontarlo a tutti. Se qualcuno mi chiedesse cosa ho visto, come potrei rispondere? Ho visto “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
C'è un'altra storia che parla del "cielo". Se vuoi LEGGERLA/ASCOLTARLA CLICCA QUI!

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I frutti fuori stagione: memoria delle mie puttane tristi

3/27/2021

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Qual è l’età giusta per innamorarsi? I 16 anni del sangue impetuoso che ti annebbia la vista? I 25 anni? La maturità dei 30, pronta a far figli o il cinico, sereno equilibrio dei 40?
Qualsiasi risposta abbiate pensato di dare non è la stessa che darebbe quel giornalista che, per tutta la sua vita, le donne le ha pagate.
È stato sempre troppo spaventato o troppo saggio o troppo stupido per cadere innamorato di una donna; una volta ci è andato anche vicino. Era lì lì per inciampare nei suoi stessi eccentrici principi ma si salva o si condanna, fuggendo proprio il giorno delle sue nozze.
E, per il resto della sua vita, paga. Tutte le più belle puttane della città, rincorrendo questo sesso, affidandogli il compito di riempire ogni vuoto ed ogni malinconia.
L’anno dei suoi 90 anni decise di regalarsi una notte di folle amore con un’adolescente vergine.
È lavoro per Rosa Cabarcas, donna di fiducia, che gestisce un bordello e sa dove trovare la ragazza per lui.
Ma quando, la prima sera, il nostro giornalista novantenne entra nella stanza dove questa ragazzina è stata preparata per lui e la vede dormire placida e bellissima, neppure la sfiora. La guarda e se ne va.
Così ancora e ancora per altre notti e altri giorni mentre, dentro di lui, germoglia qualcosa di sconosciuto.
Ma come? A quell’età? Ad un’età in cui le cose non nascono, di solito muoiono. Ad un’età in cui i fiori dell’anima, di solito, non germogliano, appassiscono.
Ed invece in lui spunta, inaspettato e incredibile, qualcosa che assomiglia all’amore.
Un amore senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore.
Proprio adesso, in quell’età in cui gli esseri umani solitamente sono già morti.
Dategli una letta, se vi va, a questo piccolo romanzo di Gabriel Garcia Marquez: “Memoria delle mie puttane tristi”, poche pagine che cercano di penetrare il senso della vita e che hanno dentro una specie di luce di tramonto, non senza gioia eh! Anzi! Ma con una malinconia struggente, magica, una malinconia finale.
“Un tramonto che lascia il tempo ancora per una scintillante ultima alba che dimentica appesa una stella sola e limpida nel cielo colore di rose. Un battello lanciò un addio sconsolato e sentì in gola il nodo gordiano di tutti gli amori che avrebbero potuto essere e non erano stati”.
La magia del sudamerica sta tutta nelle loro storie. Prova ad ASCOLTARE/LEGGERE anche questa!

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Santa Barbara dei fulmini

3/27/2021

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Questa è una storia di stregoneria, sta a voi, se volete vederla accadere, credeteci, altrimenti rimarrà solo una storia troppo strana per essere vera.
A Bahia c’è un gran fermento perché la statua di Santa Barbara dei fulmini, o se preferite, Yansa, sta per essere trasportata dalla cattedrale di Santo Amaro del Reconcavo al museo d’arte sacra dell’università federale di Bahia.
Il trasferimento è affidato al peschereccio “Viajante sem porto”, nel quale ci sono mastro Manuèl, sua moglie Maria Clara e, per vegliare sulla statua, padre Abelardo Galvão e suor Maria Eunice del convento della Lupa.
Il viaggio fila senza intoppi ma quando la barca attracca al molo, la statua della santa sparisce.
In paese scoppia una bomba.
“Chi si è fregato la santa?”
Il più in fibrillazione di tutti è Massimiliano von Gruden, il direttore del museo.
“Che figura, se non si trova la statua!” Proprio ora che aveva scritto un saggio sul perché la santa regga un mazzo di fulmini e non la canonica torre e palma.
“Chi è stato a fregarsi la statua?” La polizia statale dice che padre Abelardo è già sulla lista nera. Eh! Eh! In passato ha incitato i contadini alla ribellione contro i proprietari delle fazendas, no, no, padre Abelardo, non si fa! Sicuro che ha contattato quelli del mercato delle reliquie e poi, si sa…
La polizia federale invece ipotizza ci sia dietro la mafia.
Ma la verità è tutt’altra.
La Santa ha fatto solo il suo mestiere: quando è arrivata a Bahia si è fatta di carne e d’ossa.
Perché lo ha fatto a Bahia e non altrove? Perché a Bahia la gente crede nei prodigi e così i prodigi accadono. Si è mischiata alla gente, aveva certe faccende importanti da sbrigare: raddrizzare torti e mettere a posto atteggiamenti ingiusti nei confronti della vita. Primo fra tutti quello di Dona Adalgisa, spagnola, religiosa fervente e donna arida che costringe la nipote Manela alla più stretta e rigorosa morale cattolica a colpi di scudiscio.
Manela però è un’adolescente, dentro di lei la natura preme e batte come un tamburo. Lei è innamorata di Miro e vuole sbocciare.
La missione è delicata: come coniugare due estremi così estremi? Santa Barbara aiuta dona Adalgisa a riscoprire i piaceri della vita e accompagna Manela là dove la natura la aspettava, a passo di danza.
E dopo aver raddrizzato questa e tante altre faccende storte, risale sul piedistallo appena in tempo per il vernissage.
Eccola di nuovo là! Statua immobile, Santa Barbara dei fulmini o, se preferite, Yansa.
La magia del Brasile è straripante. Prova a LEGGERE/ASCOLTARE quest'altra storia!

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Il gauchito Gil

3/27/2021

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Ci sono certi posti nel mondo dove le leggende nascono più facilmente.
Dove c’è più passione ed è più difficile comunicare. Ci sono certi posti nel mondo dove sembra che tutto possa accadere e che la poesia venga fuori più facile, più dalle strade che dalle biblioteche.
Una di quelle che mi piacciono tanto nasce da un uomo che si chiama Antonio Mamerto Gil Núñez, nato nella zona di Mercedes, in Argentina, intorno al 1840.
Ci sono talmente tante storie attorno a quest’uomo che va a capire qual è la verità ma provando a fare una sintesi diciamo che era un bracciante agricolo e molto devoto al santo popolare San La Muerte…non sapeva ancora che sarebbe diventato un santo popolare pure lui.
Gil va a lavorare in un ranch e la ricca vedova proprietaria di quelle terre, Estrella Diaz Miraflores, di innamora di lui. Le storie dei santi della gente iniziano sempre con storie di amore, sesso, intrighi da telenovela, altra cosa che mi piace un sacco.
I fratelli di lei e il capo della polizia, a sua volta innamorato della vedova, lo scoprono e provano ad ucciderlo ma lui scappa, si arruola nell’esercito e va a combattere contro i paraguaiani.
Torna al suo villaggio come un eroe ma c’è da combattere ancora, i colorados lo vogliono con loro, ci sono da abbattere i partiti liberali.
Lui però di guerra è stanco, diserta e diventa un fuorilegge.
Da lì inizia il suo mito: quello di un robin hood sudamericano che saccheggia, rubacchia, assalta e rapina e poi aiuta chi è in difficoltà.
Iniziano a girare voci miracolose che lo riguardano: la gente dice che ha poteri curativi, che ti sa ipnotizzare e che i proiettili rimbalzano sul suo petto.
È nato il Guachito Gil.
L’8 gennaio del 1878 però la polizia, guidata dal colonnello Velasquez, lo cattura e lo porta lontano dalla Mercedes, qui viene appeso a testa in giù ad un albero di algarrobo e torturato.
Quando un sergente di polizia gli si avvicina, qui non ci è dato di sapere il nome del boia, lui gli dice che è già in viaggio una lettera che gli concede la grazia e che suo figlio, il figlio del sergente, si ammalerà e solo lui, il gauchito, può salvarlo.
Il sergente boia se ne frega e gli taglia la gola.
Quando arriva a casa trova la lettera che concedeva la grazia al Gauchito e il figlio gravemente malato a letto. A quel punto, prega a più non posso nella luce crepuscolare di una telenovela latino americana. Il figlio il giorno dopo, o se preferite, nella puntata successiva, guarirà, fra il tripudio della casalinghe argentine.
A parte queste mie stupidaggini ancora oggi il gauchito Gil è venerato nelle province di Formosa, Chaco, al nord di Santa Fe, persino nella provincia di Buenos Aires, ha una sua festa, pellegrini si mettono in marcia per rendergli omaggio e lungo le immense strade sterrate d’argentina, lungo centinaia di chilometri di sole montagne e campi, cactus, guanacos e la luce cristallina dell’emisfero sud vedete ancora tanti piccoli altari rossi con nastrini, campanelli, offerte umilissime, barrette di cioccolata, bottiglie di the, biscotti, piccole sculture in legno, disegni di bambini. Tutte lì a celebrare il gauchito che protegge i deboli e i viaggiatori.
Hai voglia di LEGGERE/ASCOLTARE un'altra grande storia argentina? CLICCA QUI!

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La favola di Natale

3/24/2021

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Si dice che Charles Dickens amasse passeggiare di notte, senza meta, in una Londra affascinante, scura, dove i rami degli alberi e la luce fioca dei lampioni assomigliavano a dei fantasmi.
Forse proprio in una notte come questa ha incrociato l’ombra di un vecchio che assomigliava ad un fantasma e che gli ha fatto venire l’idea di Ebenezer Scrooge: vecchio, magro, avido, tanto da riprendersi le monete che aveva messo sugli occhi del cadavere del suo ex socio, Marley, privandolo così del necessario lasciapassare per l’aldilà.
Scrooge odia il Natale: perché le luci gli danno fastidio agli occhi, perché ruba tempo al lavoro, perché le urla dei bambini gli irritano le orecchie.
E quindi: “Non ci vengo” risponde a Fred, suo nipote, che lo vorrebbe alla sua tavola per Natale
E quindi: “Sì, si lavora anche la vigilia”, dice a Bob Cratchit, per quello stipendio da fame che gli dà.
Ma, la notte di Natale, quando è solo, davanti al camino, con la sua vestaglia logora e la sua brodaglia fumante, arriva a trovarlo un fantasma a forma di candela.
È lo spirito del Natale passato che lo prende per mano e lo fa volare nel suo passato, quando era in collegio, solo, senza amici, anche a Natale.
Gli fa vedere la sorella, quando, un giorno, lo andò a prendere.
E gli fa vedere anche il suo primo datore di lavoro, Fitzwigg, che sbrogliava gli uffici per creare una grande sala da ballo il giorno di Natale.
Gli fa vedere la sua prima fidanzata che lo lasciò perché non riusciva a farsi amare più del denaro.
Il vecchio è spaventato, vorrebbe spegnere questo fantasma ma non ci riesce. Finisce solamente con l’evocarne un altro.
È mostruoso, gigantesco, ricoperto da un manto verde, orlato da una pelliccia bianca. È lo spirito del Natale presente.
Lo prende e lo porta dentro la casa misera del suo dipendente, Bob Cratchit, poverissimo a causa della paga che riceve. Ma la sua famiglia è felice, gode di quel poco che ha.
Poi lo porta a casa di Fred, suo nipote, tutti sghignazzano, qualcuno prende in giro lui e la sua grettezza, la sua tirchieria.
Non è ancora finita, gli mostra due bambini, scarniti, rappresentano la miseria e l’ignoranza, condizioni alle quali sono condannate molte persone, anche a causa di gente come Scrooge
Il vecchio ora piange come un vitello…e le sue lacrime chiamano il terzo fantasma, quello più terribile, quello più gotico, una figura enorme, con un saio nero, dal quale spunta solamente una mano.
È lo spirito del Natale futuro.
Ora la scena è davvero triste. C’è un funerale ma la gente non piange, anzi, se la ride, alcuni servi si intrufolano nella casa del defunto e rubacchiano, arraffano, quello che possono, altre due persone fanno i conti sull’eredità.
Ma chi merita così poco rispetto? Chiede Scrooge.
A questo punto il fantasma lo porta di fronte ad una lapide che scopre e mostra, inciso sulla pietra, proprio il nome di Ebenezer Scrooge.
A quel punto il pentimento del vecchio arriva fino in fondo al cuore, si sveglia, è una bianca mattina di Natale.
Manda il garzone a comprare il tacchino più grande del mercato e lo fa mandare a casa di Bob Cratchit, trova la forza di andare a casa del nipote, ha il coraggio di cercare la gioia dentro di sé.
Hai mai sentito parlare de "La tregua di Natale"? LEGGI/ASCOLTA questa storia QUI!

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Le intermittenze della morte

3/24/2021

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In una nazione della quale non sappiamo il nome, all’improvviso la gente non muore più. E non perché ci siano medici bravi, maghi o filtri prodigiosi. Semplicemente perché la morte ha smesso di fare il suo mestiere! Per le strade scoppiano i festeggiamenti, si brinda, si canta, si balla, c’è un’euforia dilagante! Però, dopo i primi giorni di irrefrenabile felicità, ci si inizia ad accorgere che c’è qualcosa che non va. Pompe funebri e assicurazioni non lavorano più, le case di riposo si intasano perché la gente continua ad invecchiare ma non muore, ci sono malati che non possono guarire ma, accidenti, ora neanche morire. Anche la Chiesa ha i suoi problemi, se non c’è morte, non c’è resurrezione, senza resurrezione, non c’è salvezza dell’anima...e come si fa? In seguito però si scopre che una soluzione c’è: basta portare il moribondo fuori dalla nazione, e la Morte, appena si passa il confine, riprende a fare il suo sporco lavoro normalmente. Ma a quel punto tutti vogliono sconfinare e lo Stato non lo può permettere, allora le organizzazioni criminali, tramite dei loschi figuri, delle specie di scafisti, traghettatori garantiscono ai parenti di assicurare il loro caro al mondo degli estinti. Tutto questo scompiglio dura 7 mesi fino a quando la Morte torna a farsi viva e ne da annuncio con una lettera. Tutti provano ad analizzarla ma nonostante si intuisca sia una grafia femminile, non c’è verso di risalire all’autore! Ora Lei si comporterà così: recapiterà a casa di coloro che vedono scoccare la loro ora una busta violetta che annuncia che il momento è arrivato. Solo ad un violoncellista questa busta non arriva, tanto che la morte, dopo averla inviata tre volte, è costretta a portarla a mano, prendendo la forma di una donna sui 36, 37 anni. Questa donna, cioè la morte, entra in casa del violoncellista e lo sente suonare e gli piace... decide quindi, di giorni in giorno, di rimandare l’attimo finale, e così lo sciopero ricomincia.  
Hai ancora voglia di LEGGERE/ASCOLTARE qualcosa? Prova QUESTA STORIA!

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O l'anima o il pozzo: storie della Kolyma

3/24/2021

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Ci sono due cose che fanno tremare Varlam Tichonovič Šalamov, una è l’inverno, l’altra è la T di Torino.
Se vi chiedete come può una lettera fare tanta paura ve lo spiego io, se non è la T di Torino ma è la T di Trozkista e ce l’hai cucita su una tuta in un campo di lavoro stalinista equivale ad una condanna a morte.
Invece l’inverno lo odia perché è stato arrestato sempre in inverno e perché all’interno della regione della Kolyma è sempre inverno.
Fate conto che la Siberia è la zona più inospitale dell’Asia e la Kolyma è la zona più inospitale della Siberia. Un posto dove la temperatura arriva fino a -60’ gradi.
I detenuti non hanno termometri però riescono a capire che temperatura c’è osservando la natura: se la nebbia è gelata siamo a -40’, siamo a -45 se il fiato fa rumore uscendo dal naso, se si inizia a far fatica a respirare allora è -50, oltre i meno 55 lo sputo si ghiaccia in volo.
È una regione ricca d’oro, di giacimenti minerari ed ogni baracca di ogni gulag deve raggiungere una certa quota di estrazione di materiale grezzo altrimenti viene punita.
Ed è per quel motivo che quella mattina tutti i detenuti nella baracca dove è detenuto anche Salamov sono schierati nel cortile.
Devono essere messi dentro un buco, per una settimana, perché non sono arrivati alla quota e nonostante siano attimi drammatici per noi che guardiamo da fuori questa scena assume caratteri persino comici.
Le guardie stanno raccogliendo le protesi di ognuno: è una scena grottesca: chi da l’occhio di vetro, chi la gamba di legno, chi la stampella, fino a che la guardia non arriva davanti a Salamov.
Lui è giovane, ha un fisico ancora integro, quindi la guardia gli dice di consegnargli le sue protesi e lui risponde che non ne ha.
La guardia, a quel punto, per fare la spiritosa, mentre sta proseguendo, butta lì una frase, dice: “vabbè, vorrà dire che tu mi darai la tua anima.”
Salamov, racconta di non aver neppure deciso di rispondere, ma dallo stomaco gli è salito come uno sbuffo di fiato, come un singhiozzo e ha detto: “No.”
D’improvviso la guardia si ferma, torna indietro, interdetta, più incuriosita che incattivita e gli dice: “cosa?”
E lui, di nuovo, senza averlo davvero pensato, ripete: “No”.
Ora la guardia si sente sfidata, non capisce cosa stia davvero succedendo ma non può arretrare e aggiunge: “Guarda che se non mi dai la tua anima, nel pozzo, ti ci faccio stare due settimane”.
Credo che Salamov si sia maledetto ma abbia capito che ormai non poteva tornare più indietro e ribadisce: “No.”
“Allora tre settimane nel pozzo”
E Salamov ancora “No.”
“Quattro settimane nel pozzo”, cioè praticamente morte certa e Salamov ancora: “no, io la mia anima non te la do”.
Lo prendono e lo gettano nel pozzo.
Come detto, è ancora giovane, è forte, ne uscirà, con delle piaghe, con dei danni alle ossa ma ne esce.
Anni dopo, quando gli chiedono di questo episodio, lui risponde: “È incredibile, io ho rischiato di morire per difendere una cosa che non pensavo nemmeno di avere ma che, nel momento in cui me l’hanno chiesta, ho capito era la cosa più preziosa che possedessi.”
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Il vecchio e il mare

3/24/2021

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Il vecchio pensava sempre al mare come “a la mar”, come la chiamano in spagnolo quando lo amano, a volte coloro che lo amano ne parlano male ma sempre come se parlassero di una donna.
Alcuni, fra i pescatori più giovani, ne parlavano come di “el mar”, al maschile, ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico ma il vecchio Santiago lo pensava sempre al femminile. Lo stesso vecchio che quando dormiva sognava i leoni che aveva visto in Africa.
Ora però c’era poco spazio per i sogni, erano 84 giorni che non prendeva un pesce, gli altri pescatori lo guardavano con tristezza come se avessero davanti agli occhi la miseria del loro futuro e Manolin, il ragazzo a cui aveva insegnato a pescare, non poteva più andare con lui perché i suoi genitori lo avevano obbligato a cambiare barca.
“Il vecchio è salao”, irrimediabilmente sfortunato, “cambia barca”.
“ma domani c’è una bella corrente”, dice il vecchio, “una bella corrente”.
E infatti il giorno dopo il pesce abbocca ed è insieme una fortuna ed una sfortuna.
Il vecchio sente la lenza tirare, le da uno strattone, sente che il pesce non cede, se la appoggia alla spalla e fa forza con i piedi ma il pesce è enorme e inizia a trascinare la barca al largo.
“Sono ancora forte”, dice il vecchio, “È lui che ha l’amo in bocca, posso resistere. Che pesce però, ha il mio rispetto! Mi spiace doverti uccidere, sei mio fratello ma così va il mondo”.
Il pesce continua a portare la barchetta al largo, non muore e non molla.
“Se solo lo potessi vedere” pensa il vecchio, “capirei contro chi devo combattere”, perché è anche questa la storia, una storia dove la pesca non c’entra, c’entra invece la lotta contro un dolore sottile che non vedi e che ti porta via.
“Se almeno con me ci fosse il ragazzo”, dice ad alta voce il vecchio, parla da solo per non sentirsi solo del tutto, in mezzo al mare.
“Devo fargli sentire la mia forza! Come quella volta che feci a braccio di ferro con quel moro a Casablanca, rimanemmo una notte a fissarci”.
E anche contro questo pesce passano le notti e la barchetta è sempre più al largo e già da un pezzo non si vedono più le luci dell’Havana.
Il pesce ed il vecchio dormono insieme, sono entrambi feriti e stanchi. Ora sì che sono davvero fratelli.
L’ultima alba il pesce fa un enorme salto in superficie, si dibatte, disegna intorno alla barca una mezzaluna di schiuma e sangue finché non muore.
“Il ragazzo sarebbe orgoglioso di me”, pensa il vecchio Santiago, “Sarebbe orgoglioso di me, sono vecchio e stanco ma ce l’ho fatta”.
Ma ora la strada per tornare alla spiaggia è lunga, il pesce è più grande della barca e non si può issare a bordo, trascinandolo perde una scia di sangue che li squali sentono.
Il vecchio cerca di tenerli lontani con l’arpione, con i remi, con un pezzo di legno alla sommità del quale fissa un coltello ma loro tornano e tornano ancora e ancora e mangiano il pesce, pezzo dopo pezzo.
“Non sarei dovuto andare così lontano, pesce, mi dispiace amico.”
C’è tutto il porto attorno alla barca di Santiago e alla carcassa del suo pesce. Il vecchio è con Manolin che gli dà da bere.
“Non hai perso, vecchio, hai combattuto e ora torno a pescare con te. Ho molto da imparare e tu puoi insegnarmi tutto.
Ma il vecchio non ascolta più perché si è addormentato e sogna i leoni.
Ancora voglia di "avventura"? Prova a LEGGERE/ASCOLTARE questa storia!

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Storia di una bugia: Mozart e Salieri

3/22/2021

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Oggi vi racconto una bugia perché ci sono certe bugie che sono più divertenti della realtà perché raccontano qualcosa che è più vero di quello che si vede e allora ci piace sentirle.
Io preferisco la bugia alla verità quando si parla del rapporto fra Antonio Salieri e W.A.Mozart. Intanto sgombriamo il campo dai dubbi, salieri fu un grande musicista, Mozart un genio e fra i due ebbero rapporti civili, forse persino cordiali. La bugia invece, con qualche elemento reale, è questa: Salieri aveva il desiderio di diventare un grandissimo musicista, sperava di ricevere la grazia di saper incantare con la musica e per ottenere questo è stato disposto ad offrire a Dio la sua castità. E il signore sembra ascoltarlo, tanto che lui diventa il compositore alla corte degli Asburgo, Kapelmaister della corte di Vienna, in breve tempo diventa il compositore più famoso d’Europa. Fino a quando, alla corte di Vienna arriva Wolfgang Amadeus Mozart.
E qui, ragazzi, non so cosa ne pensate voi ma è veramente una sfiga pazzesca, cioè, uno è un gigante della musica ma ha la sfortuna di essere contemporaneo del più grande genio musicale di tutti i tempi…
Mozart, dopo aver passato tutta l’infanzia a fare il bambino prodigio per tutte le corti europee, rompe gli argini: corre dietro alle cameriere, beve, se ne frega dell’etichetta di corte, però quando scrive musica, quella musica sembra dettata da Dio stesso, riesce a scrivere una sinfonia di getto, senza alcuna correzione. E questo Salieri non riesce a tollerarlo, si sente preso in giro, sente che quel patto che aveva stretto con il cielo è stato tradito. E allora gli viene la malsana idea di sostituirsi a Dio. Si racconta che chiese a Mozart di scrivere un requiem che, Amadeus non sapeva, sarebbe stato il requiem del suo stesso funerale. Così mentre Mozart scrive questa musica cupa e bellissima, lui lo avvelenava in modo che le gocce di veleno si mischiassero alle note e lo uccidessero. Goccia dopo goccia, nota dopo nota. Questa storia, come detto non è vera, è stata scritta per la prima volta da Puskin e poi Milos Forman ne trasse un bellissimo film. È una bugia che merita di continuare a vivere perché dimostra in modo mirabile come il talento sia un dono democratico, non si ottiene tramite patti, scambi, comportamenti morali. Non è una tangente, non è un premio per bravi bambini, è un dono che la natura fa secondo leggi incomprensibili, perciò sagge che esistono da quando esiste l’uomo.
e sta a tesimoniare che, oltre quello che si vede, c’è molto di più.
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