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La pernacchia patrimonio dell'Unesco

11/29/2021

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Io vorrei proporre una raccolta firme per far sì che la pernacchia diventi patrimonio dell’Unesco.
La pernacchia è come il Colosseo, come i sassi di Matera, come il Taji Mahal, come la grande muraglia cinese.
La pernacchia, se applicata agli strepiti o alla mitomania, migliora le cose, le normalizza.
La pernacchia tranquillizza le donne e gli uomini.
Ridimensiona, sgonfia, rilassa.
Pensa ai grandi dittatori della storia.
“Invaderemo la Polonia”.
Prrrrrrrrrrr.
Senti che relax? Senti come tutto torna su un piano che non fa più paura.
Pensa al terrorismo.
“Chi vuole immolarsi con questo giubbotto esplosivo per la gloria di dio?”
Prrrrrrrr.
Senti che sollievo? Non sei più obbligato a diventare un martire.
Pensa alle campagne elettorali, agli slogan su internet, ai proclami stentorei.
Prrrrrrrrr.
Senti che la tua bacheca di facebook si è ripulita, lo senti che è già cresciuto il PIL?
 
La pernacchia è un bene primario, come il grano, l’acqua, l’accesso all’istruzione, il diritto alle cure.
La pernacchia è un bene culturale, come la monna lisa, come la divina commedia, come la pietà di Michelangelo.
La pernacchia andrebbe garantita ad ogni cittadino che dimostri tramite un test attitudinale che sa come usare la pernacchia.
Perché la pernacchia va usata con raziocinio, non bisogna abusare della pernacchia, sennò si va a spernacchiare ciò che invece andrebbe ascoltato.
Paradossalmente, la pernacchia andrebbe fornita solo a coloro che sanno argomentare, in modo che, quando si trovino di fronte a pericolosi individui che parlano senza logica, senza basi, senza conoscenza, senza grammatica, possano avere un’arma per sciabolare la conversazione, una strategy exit, una safe word come per quelli che godono solo se si incartellano con i frustini.
Agli altri, niente pernacchia.
La pernacchia dovrebbe essere una grande responsabilità riservata ad un certo numero di cittadini. Non troppi.
E quando hai la tua bella patente della pernacchia, quella diventa un dovere.
Devi raggiungere un certo numero di pernacchie, non una di più, non una di meno.
Solo se hai fatto almeno 50 pernacchie all’anno sei un cittadino che ha contribuito alla società.
 
Pernacchia bene comune, pernacchia prodotto tipico, pernacchia fonte rinnovabile.
 
Pernacchia bene universale dell’Unesco.
 
Io nel nuovo mondo, mi porterei le pernacchie.

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Le insalatone

11/29/2021

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C’è stato un tempo in cui si mangiava il cibo. Il cibo non aveva nome. Era cibo.
Cioè, lo chiamavi per distinguerlo: pane, prosciutto, formaggio, pasta, pizza, frittata ma non aveva un nome che distinguesse la pasta ricca da quella povera, quella stravagante da quella seria, quella autorevole dalla cazzara. La pasta era pasta, il pane pane, il prosciutto prosciutto, al massimo crudo e cotto ma basta.
Poi tutto è cambiato.
Poi sono arrivate le insalatone. L’insalatona non è un insalata. Neanche parente.
L’insalata te la mangi a casa, la sbatti vicino alla fettina, ci butti due pomodori, un filo d’olio, due olive.
L’insalatona è proprio un altro concetto. L’insalatona, per esempio, non si mangia a pranzo, si mangia solo in pausa pranzo. È lavorativa, l’insalatona, produttiva.
Il fatto che l’insalatona contenga insalata è del tutto secondario. Mangiare l’insalatona determina immediatamente uno status sociale, un approccio, un life style.
L’insalatona ti fa dimagrire anche se è un insalatone di lardo e strutto, il nome stesso brucia i grassi in eccesso. L’insalatona infatti va a braccetto con le palestre alla moda, con lo spinning, lo yoga della risata, il crossfit.
L’insalatona non si mangia neppure nel piatto, l’insalatona si mangia nella boule, si ordina a casa, non si mangia neppure nei ristoranti ma in specifici bar bistrot, l’insalatona è come una suola rossa della Loubotin, come una parure, come un barboncino col cappottino.
L’insalatona non proviene dall’orto, l’insalatona viene assemblata da orafi e gioiellieri.
Un ciuffo di insalata al supermercato lo paghi con gli spicci che metti nel carrello e ti danno pure il resto.
L’insalatona non da resto, non fa prigionieri, si paga con la carta, se la vedete sotto i 20 euro non è un’insalatona, è una volgare insalata, non fatevi fottere.
Se ad un primo appuntamento uscite con una ragazza che ordina un’insalatona, pensatela dopo 10 anni: è a casa vostra, con il suo avvocato e i vostri figli, che mangia un’insalatona comprata con i soldi dei vostri alimenti.
Se ad un primo appuntamento uscite con un ragazzo che ordina un’insalatona, potreste finire la serata sparpargliate in diversi punti della città.
Io se una ordina un’insalatona scappo.
Io ho paura delle insalatone.
Le insalatone sono aggressive, mordaci.
Le insalatone si danno nomi simpatici per mascherare la ferocia.
Le insalatone ci seppelliranno tutti.
L’insalata fa bene alla salute, le insalatone no.
Io le insalatone nel nuovo mondo non le porterei. Voi?

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Il silenzio

11/29/2021

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Una straordinaria scoperta scientifica è destinata a sovvertire le leggi del mondo in cui viviamo.
L’Equipe del professor Shatup dell’Università del sttshire ha dimostrato inequivocabilmente che tacere fa bene.
Secondo queste ricerche pubblicate da tutte le principali e più autorevoli riviste scientifiche mondiali, il silenzio produce per il corpo e la mente straordinari benefici.
Stimola la diuresi.
Avete presente quando la trattenete da un paio d’ore e finalmente trovate un posto per farla? Mentre vi abbandonate al getto liberatorio, il vostro corpo è rilassato, la mente si libera, la gola si rilassa ed esala un solo poetico “Aaaaah!”…ma in silenzio. Perché il silenzio stimola la diuresi, è un detox naturale.
Il silenzio è un antiossidante.
Avete presente quando sentite o leggete qualcosa su cui non siete d’accordo e istintivamente vi viene da dire la vostra anche se non sono affari vostri e, peggio, se della materia in questione non sapete una mazza? Ecco, nel vostro organismo si sta producendo un affetto ossidante molto pericoloso che né il limone, né i beveroni pubblicizzati sull’internet possono fermare.
Un bel silenzio, sì, arresta il processo e la vostra flora batterica esulta. E anche la fauna. Molto meglio delle bacche di goji.
Il silenzio è un afrodisiaco naturale.
Avete presente quando uscite con una ragazza e sul più bello vi viene voglia di raccontarle quando avete vinto la gara di scoregge alle medie oppure vi avventurate in una ardita consecutio temporum su molteplici piani temporali e poi lei, alla fine, inspiegabilmente, non ve la da?
Ecco, un bel silenzio mantiene alti i livelli di libido nella vostra donna e moltiplica il vostro testosterone.
Meglio di un frullato di sedano, viagra, frutto della passione e testicoli di Rocco Siffredi.
 
Il silenzio fa bene alla salute e mantiene giovani.
Pensa alla tua salute e alla tua bellezza, taci.
 
Dici ma tu per fare questa puntata hai parlato. Sì, perché sono contradditorio e comunque sottovoce.
 
Io il silenzio, nel nuovo mondo, me lo porterei. Voi che dite?

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L'uomo duplicato

11/29/2021

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La storia ormai lo annoia, la scuola media lo annoia, la vita privata…non c’è, c’è solo un matrimonio fallito alle spalle.
Le serate per Tertuliano Máximo Afonso sono una specie di agonia, un tempo uguale che non passa mai, un’attesa del sonno che non arriva.
“Ma affittati un film, io l’ho visto, è un bel film!”, gli suggerisce un collega, “si intitola “Chi cerca trova”. Bah, Tertuliano si lascia convincere, intanto, cos’altro ha da fare?!
Mentre guarda il film quello che recita la parte del receptionist di un hotel attrae la sua attenzione. Non è un personaggio importante, poco più di una comparsa, ma non è il ruolo che lo incuriosisce. Se non fosse assolutamente certo di non aver mai girato un film, giurerebbe di essere lui quello nello schermo.
C’è uno identico a lui! Corre al negozio, noleggia tutto quello che trova della stessa casa di produzione e infila una cassetta dopo l’altra, scruta fra i personaggi secondari, ne trascrive i nomi.
In queste giornate di intenso lavoro passa a trovarlo Maria, la sua amante. Non sa come scaricarla, dannazione, e ora lo disturba anche mentre è in corso un’operazione così delicata.
Vabbè, già che c’è, tanto vale farsi dare una mano. E, si sa, quattro occhi sono meglio di due, il nome salta fuori! Nel bel mezzo del film “la dea del palcoscenico” spunta questo attore identico a lui, si chiama Daniel Santa Clara, ma solo in arte, il suo nome vero è Antonio Claro.
Gli telefona, lo convince, si incontrano.
Il faccia a faccia è sbalorditivo. I due sono davvero identici. In tutto. Fa una certa impressione.
Sono identici in tutto ma diversi nelle reazioni. Tertuliano tace sia con la madre che con Maria, Antonio spiffera tutto alla moglie che ne rimane turbatissima.
Antonio sente crescere un sentimento di rabbia verso Tertuliano che lo ha infilato in una situazione tanto scabrosa e decide di umiliarlo.
Passa a casa del professore, lo costringe a dargli abiti, auto e documenti e gli rivela il suo piano. Tertuliano ormai si è spinto troppo in là, non può più farsi avanti quindi abbassa il capo e acconsente. Antonio porterà Maria, l’amante di Tertuliano, nella casa di campagna dello stesso Tertuliano e approfitterà della situazione e di lei.
Tertuliano rimugina, cova dentro un odio feroce ed ecco che un piano emerge: va a casa di Antonio presentandosi alla moglie come il marito. Così, per una notte i due uomini si scambiano le donne.
Il timido professore è scomparso ora, si siede in poltrona e attende il ritorno di Antonio, vuole mostrargli che anche lui è stato in grado di umiliarlo, occhio per occhio…ma Antonio non torna.
Maria si è accorta che l’uomo non è chi dice di essere, litigano mentre rientrano a casa, l’auto si ribalta, i due muoiono, la polizia identifica i cadaveri con i nomi di Maria la Paz e Tertuliano Máximo Afonso.
Il vero Tertuliano contatta la madre, la vuole rassicurare, non è lui ad aver avuto quell’incidente.
Anche la moglie di Antonio ci tiene a rassicurarlo.
Non si deve agitare, potrebbe usurpare l’identità di Antonio e restare. Diventare suo marito. Chissà, con il tempo, potrebbe anche nascere un sentimento.
Perché no?! In fondo lui cos’ha da perdere?!
Ti piace Josè Saramago? Prova ad ASCOLTARE/LEGGERE questa storia!

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Il signor Cento ®

11/29/2021

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Il signor Vittorio Cento, era nato il primo giorno dell’anno, all’una del mattino, a Cento in provincia di Ferrara, e questa cosa l’aveva sempre vista come un segno.
Se poi ci mettete anche lo spirito agonistico insito nel suo nome di battesimo, ne scaturì una miscela esplosiva.
Nella vita, si era ripromesso, tutto avrebbe dovuto fare rima con quel bel numero che, più di ogni altra cosa, costituiva la sua identità.
Avrebbe avuto 100 donne, avrebbe visitato almeno 100 città d’arte, avrebbe corso i 100 metri, guidato ai 100 all’ora e sarebbe arrivato ai 100 anni di età.
Ai cento all’ora aveva sempre guidato, prova ne erano le molte multe accumulate per eccesso di velocità in centro abitato, le città d’arte pure le aveva visitate, perché, spendendo anche somme non trascurabili, dall’età di 20 anni, ogni weekend lo dedicava al turismo. Anche per quanto riguarda lo sport non si poteva contraddirlo, era iscritto alla locale associazione di atletica leggera e, nonostante avesse i piedi piatti, si era fissato di fare il velocista e nessuno era stato capace di smuoverlo, né di fargli almeno tentare qualche altra disciplina.
Il giorno del suo cinquantesimo compleanno, al giro di boa quindi, entrò trionfalmente al bar annunciando che anche quota 100 donne era raggiunta. Al bar nessuno gli credette, lo prendevano per il culo con delle battute grasse e volgari ma lui sosteneva di conservare in cassaforte tutte le prove: telefonate, foto, mutandine, gocce di profumo ma, siccome era un gentleman, non le avrebbe mostrate.
Quell’anno, all’arrivo del carnevale, a Cento fecero un carro solo per lui, “il centenario” si chiamava, e rappresentava tutti i suoi record, era fatto da cento bracci di cartapesta che si muovevano come una piovra e, sulla sommità di un pennone alto 100 metri, c’era lui che tirava centinaia di coriandoli sulla folla festante.
Ora, di tutte le promesse, non restava che l’ultima: rimanere vivo fino al compimento del suo 100esimo anno di età.
Quell’inverno la neve veniva giù come se la stessero sparando con un cannone per innevare le piste, la città sembrava una cartolina, un’immensa tela che prendeva ora i colori dei lampioni, ora quelli dei fari posteriori delle auto, ora quelli scintillanti ed intermittenti delle moltissime luminarie che un sindaco innamorato del Natale aveva distribuito anche nei vicoli più dimenticati, nei pozzi, nei tombini, nelle finestre cieche.
In uno dei quei vicoli ci stava la casa di Vittorio Cento, 99 anni, 11 mesi e 30 giorni, che, ancora lucidissimo, come avevano detto a Natale e ripetuto a Santo Stefano quelle teste di cazzo dei suoi nipoti, se ne stava su una scricchiolante sedia a dondolo a contare le ore che lo separavano dal suo compleanno.
Aveva un solo timore: i botti di capodanno! Quel teatro di guerra festosa che andava in scena ogni anno lo aveva sempre spaventato, figurati adesso che aveva in curriculum 3 infarti e quattro bypass. Si era perciò attrezzato con 12 pannelli fonoassorbenti che, fra lo stupore generale, aveva incollato alle finestre e con un paio di enormi cuffie che non lasciavano passare neppure il suono della banda al gran completo, come aveva avuto modo di verificare alla processione dell’immacolata meno di un mese prima.
Così bardato, si era messo di fronte allo show di RaiUno dell’ultimo dell’anno, determinato a scavallare la mezzanotte, arrivare allo scoccare dell’una, tagliare il traguardo del secolo di vita e consegnare così al creatore la sua vita perfetta, completa di tutti gli obiettivi che si era prefissato.
Le cuffie e i pannelli funzionarono alla grande, all’ingresso del nuovo anno sentì solo qualche tonfo sordo e lontano, dovevano essere i ragazzini che lanciavano i raudi nel vicolo, niente di più, sorrise, gli occhi sempre fissi sulla tv con il presentatore e una ragazza più nuda che vestita, con quel freddo, che estraevano i numeri della lotteria di capodanno.
Cazzo, i suoi numeri! Quelli del suo biglietto.
Un moto di gioia lo travolse mandando a puttane atri e ventricoli e facendolo comparire davanti a San Pietro, un minuto prima del suo compleanno.
“Lei è un uomo fortunato”, gli disse San Pietro, “la sua vita è stata bellissima e, proprio quando rischiava di rovinarsi, si è compiuta con la benedizione dell’imperfezione”.
Benvenuto sig. Cento.
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La metamorfosi di Gregor Sansa

11/29/2021

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È da un bel po’ che bussano alla porta e Gregor non si alza, non risponde.
Strano.
È sempre così puntuale, preciso, agente di commercio, una vita noiosa ma utile. Mantiene tutta la famiglia, gli vogliono bene.
Ma stamattina il primo treno ormai è perso, forse il secondo, ma una strigliata per il ritardo, anche se sarebbe il primo dopo tanti anni, non gliela toglie nessuno.
Ma Gregor non può alzarsi, aprire la porta, fare colazione, andare al lavoro. Non può perché si è risvegliato trasformato in un enorme orribile insetto.
Mentre lui con enorme fatica rotola sul pavimento per raggiungere la porta, il procuratore ha raggiunto la sua abitazione, stupito dell’assenza del suo sottoposto e lo minaccia attraverso la porta. La deve smettere con quell’atteggiamento, per altro, a volerla proprio dire tutta, ultimamente, anche i suoi risultati sul lavoro non sono stati un granché.
Finalmente riesce ad aprire il chiavistello e non appena la porta si apre, l’orrore dilaga. Il procuratore fugge, la madre sviene, il padre lo ricaccia in camera aiutandosi con un bastone.
Pian piano la situazione si assesta, lui si adatta alla sua nuova condizione, gli piace scorrazzare sui muri, è forse persino più felice di quando lavorava, gli portano il cibo, la sorella gli pulisce la stanza, purché lui si nasconda sotto il divano, perché la sua sola vista fa ribrezzo, come quella volta che, avventuratosi fuori dalla camera, è stato colpito sulla schiena-corazza da una mela lanciata da suo padre.
Ora che non lavora più la famiglia però è in difficoltà, la sorella non può più prendere lezioni di violino, il cibo scarseggia, non si possono più pagare i piccoli lavori di manutenzione, il tono con il quale la famiglia ormai parla di Gregor Sansa, è freddo e distaccato.
Prendono dei pensionanti per rimpinguare la casse famigliari ma quando essi, accidentalmente, vedono l’insetto, scappano a gambe levate.
Non c’è altra soluzione! Bisogna sbarazzarsi di Gregor prima di finire in rovina.
Lui stesso percepisce questa atmosfera, cade in depressione, rifiuta il cibo, viene abbandonato a sé stesso.
Quando l’insetto morirà, sarà la cameriera a gettarlo nella spazzatura, di sua iniziativa, senza che nessuno dica granché.
La famiglia si trasferisce in un appartamento più piccolo, per risparmiare, nessuno si ricorda più di Gregor, degli anni in cui lavorava come agente di commercio, nessuno ne parla più, non importa chi sia stato, quel che conta è che la sorella cresce molto bene, è bella, con quei capelli e quel sorriso certamente troverà un buon marito e questo non può che risollevare il morale di tutti.
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Profumo

11/29/2021

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Dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono animali mossi dal desiderio. E il desiderio è una forza dirompente, spaventosa perché non ha a che fare con il pensiero. È istintuale, podorosa.
L’amore, la paura, il ricordo, il piacere a volte sono accesi da un profumo. Neppure sappiamo perché ma esso è già entrato dentro le narici e ci guida.
Nella Francia del XVIII secolo visse un uomo che non aveva odore ma possedeva un olfatto straordinario e attraverso il suo naso percepiva le più sottili fragranze del mondo.
Il suo nome fu Jean-Baptiste Grenouille.
Da bambino cresce nel più schifoso quartiere di Parigi, la madre è stata condannata a morte per averlo abbandonato fra i rifiuti, passa alcuni anni in orfanotrofio per poi essere venduto ad una conceria. A jean Baptiste non interessano le altre persone, non prova sentimenti, è solo affascinato dai miliardi di odori che lo attraversano e lo avvolgono.
La prima volta che posa gli occhi su un essere umano con interesse è perché il profumo di una ragazza, in una notte parigina, lo attira.
La ucciderà per poi annusarla ferocemente e scoprire che il suo profumo svanisce poco a poco.
Lì però ha un’epifania, si fa assumere in una profumeria, dal signor Giuseppe Baldini.
Lo sfrutta, è vero, ma non gli importa di cedergli le sue creazioni se in cambio può imparare le tecniche della profumeria.
Ma non gli basta. Viene a sapere che a Grasse vengono applicate tecniche molto più avanzate della distillazione. Deve andare lì.
Ma ci arriverà solo anni più tardi perché, durante il viaggio, attraversa luoghi disabitati, selvaggi, dove non c’è alito di profumo umano e, come detto, a lui, gli esseri umani, non piacciono proprio.
Passerà 7 anni in una grotta ma una notte un incubo lo obbligherà a lasciare il suo eremitaggio. Si rende conto, in sogno, di non avere odore. Per questo tutti gli uomini lo rifiutano. Intuiscono che in lui c’è qualcosa che non va.
È a Montepellier, ospite del marchese de la Taillade-Espinasse, tipo forse più strano di lui, che mette a punto un’essenza che simula l’odore di un essere umano.
Se riuscisse a combinare gli elementi in modo da creare un odore che le persone adorino, potrebbe essere idolatrato…ma per farlo deve andare dritto a Grasse, senza esitazioni questa volta.
In città può apprendere l’arte dell'enfleurage, non è difficile, si può estrarre l’odore dagli oggetti tramite immersione nel grasso.
Certo, gli oggetti, per così dire, devono emanare un odore angelico. Come quello di Laure Richis, ancora migliore di quello della ragazza di Parigi…la sua fragranza sarà l’ingrediente fondamentale.
Ora mancano gli altri profumi, è un delicato gioco di equilibri, dolce e aggressivo, pepe, frutta, delicato, acre…ma lui non ha fretta, ci dedica mesi. Mesi per uccidere 24 ragazze ed estrarre dai loro corpi, tramite l’enfleurage, distillati perfetti.
A Grasse le persone non escono piu di casa, la città vive nel terrore, c’è un assassino feroce per le strade.
Quando infine Jean-Baptiste riesce a uccidere Laure e completare il profumo, viene arrestato.
La folla in piazza fa paura, è inferocita, agita i forconi, vuole non solo che muoia, vuole che soffra nella maniera più atroce possibile.
Ma a Grenouille basta presentarsi davanti a quelle migliaia di persone con una sola goccia del suo profumo e tutti si ammansiscono, iniziano a credere alla sua innocenza, addirittura pare che il padre di Laure voglia adottarlo.
Ma lui non prova piacere per ciò che il suo composto riesce a suscitare. Odiava gli uomini e li odia ancora. Lo repellono.
Viene liberato per volontà popolare, torna a Parigi e di fronte ad un gruppo di malviventi, si versa addosso l’intera boccetta di profumo.
Il desiderio animale che suscita in loro è così brutale che essi si gettano su di lui, consumati dalla bramosia, e lo divorano.
Se ti va di rimanere in Francia, ASCOLTA/LEGGI questa storia!

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Le streghe di Triora

11/29/2021

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Un sacchetto di grano per fare un po’ di pane.
È quello che cercano tutti a Triora, sul finire dell’estate del 1587. La stagione fredda è alle porte e le credenze sono vuote.
Strano per quel pezzo di Liguria che tutti chiamano “Il granaio della repubblica”. Probabilmente un gruppo di possidenti sta trattenendo le derrate per far alzare i prezzi ma non è questa la ragione della carestia che inizia a diffondersi per i vicoli stretti di quel borgo incastrato sull’aspro appennino di ponente.
Quelle donne che vivono alla Cabotina, fuori dalla fortificazione, a strapiombo sulla valle, la notte si sentono voci, si vedono fuochi, fuggono gli uccelli, restano solo le bestie che strisciano. Loro battezzano i bambini nati morti, loro li seppelliscono sotto sagrato di San Bernardino, loro conoscono le magie delle erbe medicinali. Sono streghe, la colpa della miseria è loro.
Così inizia uno dei processi alle streghe in Italia, per nulla distante, in quanto a ferocia e drammaticità a quelli di Loudun o di Salem.
Il consiglio degli anziani stanzia 500 scudi per il processo, giungono da Genova e da Albenga i vicari dell’inquisitore, la popolazione si raduna in chiesa, qui le persone vengono invitate alla delazione. Vecchi rancori, paura, ignoranza, cattiveria fanno sì che in poco tempo la situazione sfugga completamente di mano.
Giulio Scribani, già pretore a San Romolo, arriva in paese con l’intenzione di “smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi per tal conto tutto desolato”.
Fra le tante vittime, pochi nomi sono passati alla storia. Uno di questi suona dolce: Franchetta. Franchetta Borelli.
Nobile, bella, ricca, non sposata, prostituta in gioventù.
Fu torturata una prima volta a cavalletto, ma la parola di suo fratello Quilico e 1000 scudi di cauzione le fecero concedere gli arresti domiciliari.
Scappò ma poi decise di ripresentarsi al processo per evitare che un suo amico, Buzzacarino, che aveva garantito per lei, finisse in prigione.
In molte ore di supplizio sugli atti vengono annotati momenti di sconforto, di silenzio, pensieri innocenti, rivolti al suo paese e alle persone a cui voleva bene. Sappiamo che si offrì di riparare le scarpe rotte di un suo parente che la assisteva e si preoccupò delle castagne che non sarebbero maturate con quel vento freddo che sentiva soffiare fuori dalla sua cella.
Dagli atti emerge anche una frase che ti fa sentire un freddo spaventoso: “Io stringo i denti e poi diranno che rido”.
Nella chiesa romanica di S. Bernardino è visibile ancora oggi un Giudizio Universale con tanto di streghe ed eretici fatti a pezzi e bambini, morti senza ricevere il battesimo, affrescati sotto le enormi ali da pipistrello di un demone. Il nome stesso di Triora deriverebbe dal latino “tria ora”, cioè “tre bocche”, esattamente come le tre bocche di cerbero, la bestia immonda che controlla le porte dell’inferno.
Che non sta a Triora però, che è un bellissimo borgo medievale che affaccia su una valle splendida e che, tra l’altro, nella notte di Halloween organizza una splendida festa.
L’inferno non sta nelle streghe che abitano solo l’ignoranza e la paura della gente.
L’inferno sta qui, tutte le volte che gli uomini decidono di costruirlo e alimentarlo.
Ti va di LEGGERE/ASCOLTARE un'altra storia spaventosa? CLICCA QUI!

 

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Gatsby, il magnifico

11/29/2021

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La più grande festa che abbiate mai visto.
No, probabilmente ve la state immaginando ma non potete.
Io sto parlando di qualcosa che non si era mai visto prima e non si era mai visto dopo.
Ettari di giardino invasi da luminarie scintillanti, fontane dai mirabolanti giochi d’acqua, una grande piscina di marmo e una casa così grande da sembrare un castello.
Gente che arriva da tutto lo stato di New York, gente di ogni genere, razza, classe sociale. Aristocratici e criminali, politici e commercianti, puttane e moralisti, puttanieri e preti, dive del cinema, cantanti di grido. Tutti alla corte di Gatsby, tutti senza invito.
Anzi, tutti meno uno: Nick Carraway.
Lui ha ricevuto un cerimonioso biglietto di invito.
Abita lì vicino, in un cottage modesto, schiacciato fra case enormi e lussuose.
Arriva, cerca Gatsby, ma Gatsby non c’è, non c’è mai.
Chi dice sia un assassino, chi un sant’uomo, chi abbia studiato in Europa, chi sia figlio di principi, chi sia un eroe di guerra. Nessuno sa davvero niente, nessuno l’ha visto mai.
Nick lo vedrà, perché ha qualcosa che gli altri non hanno, una parentela speciale, quella con Daisy.
Tanti anni prima, un soldato che ancora si chiamava James Gatz, si innamorò di lei, di quegli amori che capitano una volta ogni due o tre generazioni. Di quelli che dopo il primo bacio, sai, senti, che non puoi appartenere a nessun altro.
È come un raggio verde che ti attrae. È come quel raggio verde che arriva dalla casa di Tom Buchanan, quell’uomo che, quando Gatsby partì per la guerra, sposò la sua Daisy.
Un incontro, chiede a Nick soltanto un incontro, che sembri casuale, un the, per rivederla.
Una donna sposata, insomma, Nick tentenna ma è difficile dire di no a Gatsby, perché c’era in lui qualcosa di splendido, una sensibilità acuita alle promesse della vita.
E quando si rivedono, l’amore riemerge, prepotente e inarrestabile.
Tutto quello che ha, tutta quella ricchezza sfacciata che aveva messo insieme dopo l’incontro con Don Cody, sembra servire a qualcosa. Perché tutto, proprio tutto, era stato fatto per lei.
Ma lui vuole troppo, vuole l’impossibile, vuole che lei dica che non ha mai amato suo marito, vuole tornare al passato e al passato non si può tornare, glielo dice, il suo amico Nick.
“Certo che si può, vecchio mio, certo che si può”, insiste Gatsby.
Ma Daisy gli dice che sta chiedendo troppo, è come se volesse afferrare quel raggio verde che si vede dal suo molo. Vuole tutto Gatsby.
Una sera tornano in auto da New York, è Daisy al volante, investe Myrtle, amante di Tom, moglie di Wilson, un uomo sporco di carbone che ha una stazione di benzina nel luogo più desolato del mondo.
Daisy è sconvolta. Torna a casa. Lo chiamerà, dice.
Nick trascorre con Gatsby una notte di fine estate, finalmente conosce la verità sulla sua vita. La conosce in un tempo sospeso, mentre Gatsby attende che Daisy lo chiami, attende come l’ha sempre attesa, per tutta la vita.
La mattina seguente, Wilson, inferocito, credendo che lui fosse al volante dell’auto che ha ucciso sua moglie, farà irruzione nel palazzo di Gatsby e gli sparerà.
Il giorno del funerale Nick chiede al sacerdote di aspettare ancora un po’, spera che arrivi qualcuno, ma arriva solo un ubriacone che andava alle sue feste per scroccare un po’ di alcol.
«perdio!>>, commenta il vecchio. Ci andavano a centinaia a quelle feste! Povero bastardo!»
Vi va di ASCOLTARE/LEGGERE un'altra storia "americana"? Provate con QUESTA!

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