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La profezia

9/30/2021

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Siamo nel 1976 ed un giornalista italiano che lavora per una testata tedesca come inviato si trova ad Hong Kong. La città è interessante e per uno che viene dall’Europa ha un fascino particolare.
Angoli sconosciuti, gente che vive, pensa e agisce in maniera inaspettata, opportunità nuove.
Ma le opportunità, nella vita, ci sono sempre, la difficoltà è riconoscerle, perché a volte arrivano travestite. Ed è quello che succede a questo giornalista che passeggiando per la colonia britannica, rincontra un vecchio cinese che aveva già conosciuto. Un indovino.
Questo gli dice che nel 1993 correrà un gran rischio di morire. In quell’anno non dovrà mai e poi mai volare. Lì per lì la cosa lo tocca ma in seguito se la fa scivolare addosso, in fondo è il ’76, il ’93 è ancora lontano.
Però quella data gli rimane in testa come una specie di appuntamento a cui non si è ancora deciso se andare o no. Il tempo però passa, il ’93 si avvicina, il giornalista continua a fare il corrispondente dall’Asia, prima a Singapore, poi appunto ad Hong Kong, Pechino, Tokyo e infine Bangkok.
Ora deve scegliere. Ci crede? Non ci crede? Non è questo il punto. Non è che uno ha bisogno di credere alle previsioni per uscire di casa con l’ombrello in una giornata nuvolosa. La pioggia è una possibilità, l’ombrello una precauzione.
E l’opportunità, invece, mascherata da maledizione, è passare un anno diverso da qualunque altro, tutto via terra. Insomma, la profezia era la scusa, il giornalista ha 55 anni e una gran voglia di mettere un po’ di poesia nella sua vita, di guardare il mondo con occhi nuovi. Non può farsi scappare questa occasione.
Il problema era convincere il suo giornale, Der Spiegel, in un mondo dove le notizie erano già immediate, a consentirgli di fare il suo mestiere con quella lentezza. Ma quelli si dimostrano comprensivi, così il 31 dicembre del 1992, festeggiando l’anno nuovo in una foresta in Laos con una omelette di uova di formiche rosse, giurò brindando con acqua, che l’anno nuovo non avrebbe volato. Muovendosi fra Asia ed Europa in treno, in nave, in macchina, spesso anche a piedi, il ritmo delle sue giornate è completamente cambiato, le distanze hanno ripreso il loro valore, il viaggio è tornato ad essere scoperta ed avventura. Senza la possibilità di correre in aeroporto, pagare con la carta di credito, schizzare di qua e di là, le ore sono tornate ad essere giorni, sono sparite le rotte e i check-in e sono riapparsi montagne, pianure, fiumi, laghi, mari come naturali percorsi e ostacoli del mondo. Il mondo stesso ha riacquistato la sua vastità e anche l’umanità è cambiata, è diventata quella della maggioranza, che si sposta con pacchi, cibo e bambini, quella che vive nel cuore della terra.
E riesce persino a continuare a fare il suo mestiere! Arriva in tempo per raccontare le prime elezioni democratiche in Cambogia, arriva in tempo all’inaugurazione della prima linea di comunicazione fra la Thailandia e la Cina, attraverso la Birmania. Insomma, l’anno in cui doveva morire, Tiziano Terzani, è di fatto rinato, usando una profezia come scusa.
Ah, e poi c’è un'altra cosa. Il 20 marzo del 1993 un elicottero delle nazioni unite in Cambogia è precipitato con 15 giornalisti a bordo. Fra loro c’era il collega tedesco che aveva preso il suo posto.
Vi piacciono le storie di strane coincidenze? Provate a LEGGERE/ASCOLTARE QUESTA!

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L'ascesa del signor Ponzi

9/16/2021

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Carlo è un uomo sempre allegro. Come va? Tutto bene. Va sempre tutto bene per Carlo.
Fin da ragazzino eh, sempre quel carattere gioviale, da bambino a Lugo di Romagna, e poi a Parma dove si traferisce con la famiglia e ancora a Roma dove cerca fortuna.
La testa sempre piena di progetti. Non tutti vanno a buon fine, anzi, quasi nessuno, tanto che la madre e lo zio spesso devono ripianare i conti ma lui non perde l’entusiasmo. Mai.
I soldi sì, ne perde parecchi. Infatti pensa che sia meglio levare l’ancora e lo fa. Attraversa l’oceano e arriva a Boston il 15 novembre 1903 con il piroscafo Vancouver.
Negli Stati Uniti fa quello che può per sopravvivere: il commesso, il cameriere, l’operaio, ripara macchine da cucire, stira in una sartoria.
Ad un certo punto Carlo che adesso si fa chiamare Charles, viene a sapere che c’è un connazionale che sta facendo fortuna, si chiama Louis Zarossi e ha appena aperto una banca a Montreal, in Canada.
Da quell’istituto di credito parte la sua carriera da truffatore che, come tutte le carriere, non è che va bene proprio da subito. Nelle truffe, come altrove, ci vuole apprendistato.
E Charles lo scopre pagando di tasca propria e facendo dentro e fuori dalla galera un po’ di volte. È lì che impara, è lì che fa gli incontri giusti: Ignazio Lupo Saietta, il boss della “mano nera”, Charles Morse,banchiere condannato a 15 anni per appropriazione indebita.
Esce, torna a Boston, si sposa con Rose Gnecco, si inventa altre operazioni strampalate, tipo la guida del commerciante che, per l’ennesima volta, non va bene, però gli fa scoprire l’esistenza dei tagliandi internazionali di risposta.
Funzionava così: gli emigranti scrivevano a casa ma spesso, a casa, non avevano neanche i soldi per il francobollo. Allora, dentro la missiva, si poteva mettere questo tagliando. Chi lo riceveva se ne andava nell’ufficio postale della sua città e si faceva dare un francobollo.
Charles pensa che se acquista molti buoni in paesi stranieri e poi li converte negli stati uniti, per via del gioco di prezzo dovuto all’inflazione, il guadagno è sorprendente.
Apre una sua società, con un bel nome pomposo: Security Exchange Company.
Ma è solo il primo passo, con quel sorrisone che ha e quei modi gioviali, convince amici e conoscenti che se gli danno i loro risparmi può garantire loro un utile del 50%. Raccoglie un sacco di soldi, presto si dimentica dei francobolli e ripaga gli interessi con i soldi dei nuovi investitori. Tutti vedono che la cosa frutta, nessuno ritira i propri depositi, così la ditta cresce e Charles Ponzi inventa un metodo: lo schema Ponzi.
Vive alla grande! Si compra una villa con piscina riscaldata a Lexington, gira con l’ultimo modello della Locomobile con autista e fa venire sua madre dall’Italia, in prima classe.
Qualcuno prova a mettergli i bastoni fra le ruote, fa trapelare notizie scoraggianti per invitare i suoi investitori a ritirare i soldi, cosa che lo lascerebbe sul lastrico, ma lui non batte ciglio, sorride, non c’è problema, e allora i suoi clienti si fidano e non si riprendono i loro soldi.
Fino a quando Clarence Barron, uno dei maggiori esperti di economia del Paese, pubblica un articolo sul “Boston Post” che si intitola: DUBBI SUGLI SCOPI NASCOSTI DIETRO AL PIANO PONZI.
Ponzi barcolla ma non è ancora il tracollo. Quello arriva il 2 agosto del 1920 con un altro articolo dal titolo inequivocabile: PONZI IRRIMEDIABILMENTE INSOLVENTE.
Il “Boston Post” prende il Pulitzer negli stessi giorni in cui Ponzi entra al cercare di East Cambridge.
Lui mica perde il sorriso eh! Mai! Anche perché lo trattano come una celebrità.
Dopo 10 anni di lavoro, utili per chiarire tutti i casini che aveva fatto, viene rimpatriato, visto che non si era mai preso la briga di prendere la cittadinanza americana.
Vive a Roma, fa il contabile, poi il piazzista, tenta persino di farsi pubblicare una biografia, “L’ascesa del signor Ponzi”, che però nessuno gli pubblicherà né in Italia, né in America.
C’è un ultimo colpo di coda.
Attilio Biseo, colonnello dell’aviazione, comandante della squadriglia “sorci verdi” e pilota personale di Benito Mussolini, lo prende in simpatia e gli affida l’incarico di gestire la LATI, linee aeree transatlantiche italiane, fra l’Italia e il Brasile.
Vive a Rio, davanti all’oceano. Ma dura poco.
Scoppia la guerra, il governo brasiliano controlla meglio i voli e a bordo ci trova diamanti e materiale per i paesi dell’asse, microfilm, dossier, spie…
Nel dicembre del ’41 la LATI viene sciolta. Con la liquidazione Carlo, è tornato Carlo, ci apre una pensione, poi una rosticceria ma alla fine si deve vendere anche l’appartamento e trasferirsi in un quartiere popolare di Rio.
È in clinica mentre progetta nuove imprese ma sono i suoi ultimi giorni. Il vicino di letto una mattina gli chiede: “Come va?”
E le sue ultime parole sono: “Tutto bene”.
Se ti va di LEGGERE/ASCOLTARE un'altra storia di chi cerca fortuna, CLICCA QUI!

 

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Io non ho paura

9/9/2021

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1979 ed un paesino del sud che si chiama “Acque Traverse”.
E poi c’è un ragazzino, un bambino di 9 anni che si chiama Michele Amitrano e deve fare una penitenza, il suo amico “Teschio” vuole che lui entri in una casa abbandonata e stia lì per un po’…poi può uscire.
Lui è spaventato, ha molta paura ma…non è che puoi dire di no ad uno che si fa chiamare “Teschio” e così, si fa coraggio ed entra.
Una volta all’interno di questa casa, vede che c’è un buco nel terreno, sbircia e gli sembra di vedere un corpo sotto un lenzuolo.
Questa visione lo turba molto. Scappa. Torna a casa ma si tiene tutto dentro, non dice nulla ai suoi, zitto.
Durante la notte ci pensa e, come per molti bambini, anche per lui la curiosità è più forte del turbamento, della paura.
E così il giorno dopo torna, rientra, guarda ancora in quel buco e, in effetti, non ha avuto le allucinazioni, c’è un corpo, un corpo vivo, è un bambino, si chiama Filippo. Dice cose incomprensibili. Forse è matto.
Ma lui decide di accudirlo e i due diventano amici.
A proposito di amici, c’è un amico che viene a casa di suo padre, si chiama Sergio e ha una brutta faccia. Un giorno, guardando la televisione, Michele vede una signora che sta facendo un appello perché suo figlio è stato rapito, sequestrato…e capisce che è la madre di Filippo…e capisce anche che a sequestrarlo sono stati suo padre e Sergio.
Non ce la fa a tenersi questo segreto e si confida con un suo amico che si chiama Salvatore. Salvatore poi ha 12 squadre di subbuteo e se lui gli racconta il suo segreto gliene regala una, come si fa a dire di no?
Salvatore purtroppo non sa tenere i segreti, lo tradisce, il padre lo viene a sapere e gli vieta di tornare in quella casa ma lui ci torna lo stesso…però Filippo non c’è più.
È stato spostato, presumibilmente in un altro nascondiglio.
Una notte, origliando, gli sembra di capire che “i grandi” abbiano deciso di uccidere il suo amico Filippo e quindi si getta alla ricerca.
Sta fuori un sacco di ore e, proprio quando stava per perdere le speranze, lo trova.
Vorrebbe farlo scappare ma Filippo è molto debilitato, non ce la fa neppure a stare in piedi, non ce la fa a scappare.
In quel momento arriva suo padre che, nel buio, spara e colpisce proprio suo figlio Michele ad una gamba…chiederà aiuto ai poliziotti sugli elicotteri che erano lì per arrestare lui e la sua banda.
Michele sopravviverà. Lo sappiamo perché è lui che ci racconta tutto. Senza paura.
Ti va di leggere un'altra storia di coraggio? LEGGI/ASCOLTA qui! 

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Il vecchio che leggeva romanzi d'amore

9/2/2021

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Quel poco di civiltà che arriva e El Idillio,  arriva dal grande fiume.
Arriva il liquore, qualche provvista, qualche marchingegno fatto fuori dalla foresta, a El Idilio, arriva pure, una volta ogni tanto, il dentista con la sua poltrona.
Per pochi dollari, anestetizza la bocca malconcia degli indios con una golata di alcol, e poi cava i denti marci senza troppi complimenti, si arrabbia pure se qualcuno urla che lui ha poco tempo e che tirino fuori le palle, accidenti!
Sempre da quel fiume arriva pure un morto e la lettura è semplice.
È il solito tigrillo, una bestia immonda e feroce, che azzanna, sbrana, squarta, uccide senza alcuna pietà.
Qualcuno deve penetrare nella foresta e uccidere il mostro.
Chi ci va?
È un lavoro per Antonio José Bolívar Proaño. Quel vecchio che vive lontano dal villaggio, come un esiliato, quel vecchio che ha scoperto di saper leggere e passa tanto del suo tempo con in mano romanzi d’amore.
Tanti anni prima era arrivato nella foresta con sua moglie, consumata poi dalle febbri della malaria.
Ma lui è rimasto, gli shuar gli hanno insegnato a leggere un altro libro, quello degli alberi, degli insetti, delle belve della foresta e sempre loro lo hanno esiliato per il disonore di cui si era ricoperto cacciando.
Questa è l’occasione per riscattarsi, per essere accettato ancora all’interno della comunità.
All’inizio è una spedizione a penetrare nella foresta alla ricerca del tigrillo ma ben presto il vecchio viene lasciato solo. Lui segue le impronte dell’animale e finalmente, riparato da un albero, lo vede.
Il cuore gli sembra uscire dal petto, lo segue con lo sguardo, fa sempre lo stesso tragitto, il vecchio lo manda a memoria.
Quando crede sia il momento giusto Antonio Josè Bolivar si lancia di corsa verso il fiume ma il tigrillo lo aveva aggirato e lo colpisce alle spalle facendolo ruzzolare fino alla fine della scarpata.
Quando si rialza, di fronte a lui, accucciato a pochi metri, vede il compagno del tigrillo a cui stava dando la caccia. È in fin di vita, soffre.
Il vecchio capisce che l’animale lo aveva condotto lì affinché potesse dare il colpo di grazia al suo compagno, ponendo fine alle sue sofferenze.
E Antonio Josè Bolivar così fa.
Ora rimane solo il tigrillo, la belva, l’animale. Il vecchio ripara in una vecchia canoa, lì il tigrillo lo attacca ma non lo sbrana, gli piscia sopra, come se fosse già morto.
Il vecchio spara un colpo, ferisce sia l’animale che sé stesso e, ad armi pari, si combatte lo scontro finale che vede il vecchio vincitore.
Ma è un rientro triste il suo, se gli Shuar lo avessero visto non avrebbero approvato. Bisogna combattere corpo a corpo, non con la doppietta, al massimo con le frecce avvelenate che permettono allo sconfitto di lasciare la vita terrena invece di rimanere intrappolato nella foresta come un pappagallo cieco.
Non restava che trascorrere i giorni che gli mancavano a El Idillio, riflettendo sulla sua indegnità e, per alleviare il cuore, leggendo la notte romanzi d’amore.
Ami le storie di avventura? Prova a LEGGERE/ASCOLTARE questa! CLICCA QUI!

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