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Piccole cose da nulla

12/15/2022

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Il Natale è un simbolo. È la luce che vince sul buio. Si sa.
Ma passare dalla metafora celeste alle piccole cose da nulla di ogni giorno è difficile.
Come si fa a far vincere la luce sul buio, quando il buio fa davvero paura?
Furlong vive in Irlanda, figlio di una ragazzina sedicenne, cresce grazie alla misericordia della signora Wilson che, invece di metterli alla porta, se li è tenuti in casa e ha evitato ad entrambi guai ben peggiori.
Ora è cresciuto, ha messo su una bella attività, vende legna e sacchi di carbone ad un bel pezzo di contea, e ha costruito una bella famiglia, Eileen, sua moglie, e cinque belle figlie che andranno al st Margaret e faranno strada.
Quando ormai il presepe in piazza è già montato e pure l’albero scintilla e pure le luminarie splendono, il suo camion arranca su per la collina per una consegna al convento. È domenica, ma tanto vale togliersi quell’incombenza.
È un posto misterioso il convento, c’è la scuola, e fin qui tutti d’accordo, c’è la lavanderia che consegna lenzuola e abiti profumati e come nuovi, e anche di questo si può parlare, ma poi c’è un non meglio specificato “istituto correzionale” per ragazze. E qui è meglio non approfondire troppo, anche perché uno che proprio conosca le risposte, pare non ci sia.
Quando Furlong arriva, apre la porta della carbonaia e dentro ci trova una ragazza tutta storta, tremante, un po’ di freddo e un po’ di paura, con i capelli tagliati maldestramente, i piedi neri e una vestaglia logora e lercia.
Lei gli chiede di suo figlio. Se sa dov’è, se può aiutarla.
Furlong è confuso, bussa al convento, gli apre una suora che non lo aspettava e che sembra irrigidirsi quando vede la ragazza.
Ecco dov’era, l’hanno cercata tutta la notte, dice, venga, dice a Furlong, una tazza di the, un pezzo di dolce, eravamo preoccupate, dice, hai bisogno di una bella dormita, ripete. C’è qualcosa che però non convince Furlong, che però non chiede, tace, consegna la merce, intasca la busta con gli auguri e 50 sterline extra. Torna a casa.
Però ci pensa nei giorni successivi. Pensa che non si sente bene a non aver chiesto. Accenna la cosa a sua moglie che gli dice che è troppo buono, di non farsi coinvolgere, che di problemi ne hanno già tanti, a cominciare dagli infissi che sono anni che devono cambiare, che a passar vicino alle finestre filtrano certe spade di gelo che sembrano affettarti le orecchie.
Accenna qualcosa in giro allora Furlong, ma quasi tutti nicchiano, allargano le braccia, scuotono il capo. La signora Kehoe è anche più esplicita. Non le risulta che esistano ragazze che, della loro vita, abbiano fatto qualcosa di buono senza passare dalla st Margaret. E le sue figlie sono ad un passo. Vale la pena avere qualcosa da dire con quella gente lì? Che pensi a godersi il Natale.
Ma Furlong più ci pensa e meno bene sta. Sente come un buio che gli riempie lo stomaco.
Quindi torna su per la collina, qualche giorno dopo. Questa volta ci va a piedi, quasi senza deciderlo. La strada si fa via via più buia, i lampioni diventano sempre più radi ma lui continua a camminare in preda ad una strana eccitazione.
Dentro di sé spera. Che il lucchetto sia chiuso. Che, aprendo la carbonaia, la trovi vuota. Che la suora lo intercetti prima che si avvicini. Ma non succede nulla di tutto questo.
Percorre un tratto delle mura del convento, arriva di fronte alla porta della carbonaia. La apre. E dentro c’è ancora la ragazza, nelle stesse condizioni. L’unica differenza è che ora accetta il cappotto di Farlong senza indietreggiare.
Lui la porta giù con sé e si sente bene. Anche se sa che il peggio deve ancora arrivare.
Le persone che lo vedono da lontano gli si avvicinano ma appena si rendono conto che, sotto braccio, non ha una delle sue figlie, si spaventano e cambiano marciapiede. Lui si sente bene anche se sa che ci saranno conseguenze.
I bambini ridacchiano dei piedi neri e di quei capelli ridicoli prima che i genitori li tirino via sempre un secondo più tardi del necessario. Farlong però si sente bene perché ciò che intimamente è giusto basta a sé stesso e anche se, lì per lì, può sembrare una piccola cosa da nulla, le piccole cose da nulla, messe in fila, fanno sì che la luce vinca sul buio, come nel cielo succede a Natale.
 
L’ultima Magdalene Laundry è stata chiusa in Irlanda nel 1996.
In questi istituti molte ragazze “sfortunate” venivano nascoste, incarcerate e costrette a lavorare. Molte di queste ragazze hanno perso i loro bambini o la loro stessa vita. La gran parte degli atti ufficiali di queste lavanderie finanziate e gestite dalla chiesa cattolica sono andati perduti. Il governo irlandese, nella persona del primo ministro Enda Kenny, si è ufficialmente scusato nel 2013.
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Elf on the shelf

12/15/2022

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Io sono un appassionato di leggende.
Secondo me, dentro le leggende, nella mitologia, ci sono un sacco di indicazioni, suggerimenti, segreti di quel che siamo stati, di quel che siamo e di quel che in noi è eterno e quindi, sempre ci sarà.
Le leggende spesso affondano le loro radici in tempi remotissimi, dimenticati, nebbiosi, impossibili da datare e da delineare con chiarezza.
Delle leggende più affascinanti mi so no sempre chiesto: chissà quando questa storia è stata raccontata per la prima volta? Da chi e perché? Chissà attraverso quali peripezie è arrivata fino a noi?
Beh, ce n’è una appena nata, che sembra proprio fatta per durare ma della quale sappiamo tutto.
Nel 2005 due sorelle gemelle, le sorelle Bell, e la loro madre, Carol Aebersold fanno uscire un libro: elf on the sheld a xmas tradition.
Sostanzialmente, dopo il giorno del Ringraziamento, per noi europei facciamo dal primo dicembre, si può costruire una porticina di legno su una mensola della propria casa.
Le mini-porticine, come è noto, hanno poteri magici e questa in particolare, è in grado di creare un corridoio espresso fra casa vostra e il laboratorio di Babbo Natale.
Una volta creato questo gate, un elfo si mette in marcia e, presto o tardi, a seconda del traffico, arriva a casa vostra.
Il suo compito è da vero agente segreto: si occupa di monitorare i bambini per poi riferire al principale in Lapponia, che se non fosse chiaro, è Santa Claus, se i pargoli meritano o meno i regali che hanno richiesto nella letterina.
Detto così sembra un compito da spione antipatico ma, a dar retta a quel che si dice in giro, gli elfi sono estremamente clementi, anche perché, sempre secondo tradizione, nei giorni in cui frequenteranno la vostra casa, non faranno meno casini di quanti ne facciano i vostri figli.
Quindi, anche per onestà intellettuale, non è che si possono mettere a fare gli spioni precisini.
Gli elfi ce l’hanno proprio come caratteristica quella di rovesciare la farina o nascondere il barattolo del caffè, finire le caramelle o mischiarvi i calzini nei cassetti.
Se vi da fastidio, inutile mettere la porticina di legno, ecco.
Insomma Elf on the shelf, che è un pendolare, ogni notte, torna al polo nord e fa un dettagliato report a Babbo, si beve una tazza di cioccolata, dorme un paio d’ore e poi torna a casa vostra, sulla mensola che avete voluto dedicargli.
Unica accortezza, la notte di Natale è bene sincerarsi di aver lasciato la porticina di legno aperta, altrimenti, il corridoio magico si chiude e l’elfo disgraziato non può tornare a casa e vi rimane in casa fino a ferragosto, periodo dell’anno per il quale è totalmente inadeguato.
Ricordatevelo, altrimenti, si irrita e lascia la porta aperta ai ladri.
Ovviamente quest’ultima parte me la sono inventata io, nel libro non c’è e non c’è neanche nei cartoni animati, nei giochi e nelle storie che ormai affollano l’immaginario dei bambini di tutto il mondo.
Ma le leggende sono così.
Chissà che, fra 200 anni, qualcuno intercetti la mia aggiunta e la prenda per buona, andando ad aggiungere un pezzo ad una leggenda che magari nessuno ricorderà da dove è partita.
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Il poeta che ha perso le rime

12/15/2022

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Era il primo dicembre di un anno dimenticato e il poeta ancora non trovava la rima.
Aveva scritto la poesia più bella che si fosse mai sentita su tutta l’isola.
Di nascosto, aveva fatto leggere le bozze allo stregone, raggiungendolo nella grotta. Il vecchio era tutto rincantucciato in fondo perché in quella stagione, le onde entrano dentro e bagnano pentole e stracci.
Era bastato leggerne un verso ad alta voce che il mare era tornato al suo posto e il vento aveva smesso di ululare.
Come tutte le poesie vere, scritte da poeti veri, nei giorni di luna crescente, anche questa aveva il potere di influenzare la realtà.
Tornando a casa, il poeta si sfregava le mani. Sai, il potere che gli avrebbe dato quella poesia?
I contadini gli avrebbero pagato una gabella affinché la leggesse per far piovere o splendere il sole, il falegname, il sarto, il panettiere gli avrebbero regalato mobili, abiti, ceste di pane perché leggesse la poesia davanti alle loro botteghe e le donne gravide, purché leggesse la sua poesia alle pance gonfie, lo avrebbero ricoperto d’oro. Senza contare, quello che le ragazze avrebbero concesso ad un poeta capace di scovare e mettere in fila parole così meravigliose ed utili.
Mancava però l’ultima rima, dell’ultimo verso. Cosa importante, perché una poesia, per quanto bella, per quanto potente, senza l’ultima rima dell’ultimo verso, è come un coltello senza il manico, uno strumento efficace ma che non si può maneggiare.
Ed anzi, diventa uno strumento pericoloso, perché non sai se taglierà la corda che ti lega o se ferirà il cuore che ti tiene in vita.
Tutto questo succedeva alla fine dell’estate e al primo dicembre, niente da fare, l’ultima rima dell’ultimo verso non c’era ancora e il tempo cominciava a scarseggiare.
Come sanno tutti quelli che scrivono poesie miracolose, se il lavoro non è finito entro il solstizio d’inverno, il giorno in cui la luce vince sul buio, massimo massimo per la vigilia di Natale, allora non c’è niente da fare, quella poesia diventa inservibile, tanto vale buttarla nel camino e ricominciare da capo.
Proprio davanti al camino, proprio davanti alle fiamme, proprio pensando ai suoi versi in cenere, il poeta pensò che non si poteva permettere di fallire, tutti quei privilegi già lo ingolosivano, pensò che era inutile scervellarsi per la rima perfetta, bastava una rima qualsiasi per togliersi il pensiero.
Ma anche una rima qualsiasi non gli usciva. Si era talmente stressato alla ricerca della rima perfetta che ora gli si era asciugato tutto il serbatoio delle parole.
Poco male. Il giorno successivo gli venne un’idea imprenditoriale.
Andò da un artigiano, da un contadino e da un armaiolo dicendo che, se gli avessero anticipato una certa cifra, si sarebbero accaparrati la prima lettura.
Incassata la somma richiesta, se ne andò al mercato e, camuffandosi da monaco, comprò, al banco delle rime 6 finali perfetti nuovi nuovi, ancora freschi. Per maggiore sicurezza si fece dare anche un sacchetto di assonanze sfuse appena uscite dalla macchina.
Arrivato a casa, provò ad incastrarle una ad una alla fine della sua meravigliosa poesia e, dopo un paio di ripensamenti, scelse una rima ricercata, una parola obsoleta, piena di ghirigori che lo avrebbe fatto sembrare un poeta non solo ispirato, non solo sensibile, non solo talentuoso ma pure cólto.
Quando si trattò di leggerla in pubblico, sulle prime, bambini, donne e uomini del villaggio sembrarono rapiti ma con grande disappunto di tutti, si capì ben presto che non solo la poesia non restava in mente e non lasciava nell’animo quella scia di languore che le poesie miracolose lasciano, ma che, catastrofe delle catastrofi, non faceva i miracoli.
E, come capirete, una poesia miracolosa che non fa miracoli, vale tanto come un calzino bucato o un ombrello che lascia passare la pioggia.
La realtà restava esattamente com’era prima, né migliore, né peggiore, anche se, viste le aspettative, sembrava peggiore.
La notte di Natale il poeta si trovava ancora di fronte al camino, questa volta spento però. I soldi che aveva dovuto restituire lo avevano lasciato sul lastrico e non poteva permettersi né legna, né regali, né addobbi, solo una minestra scialba di verdure bollite.
E così si sentiva lui, scialbo e scolato come una zuppa malriuscita.
Lo scrisse di getto per togliersi quel pensiero dal cuore, lo scrisse senza alcuna pretesa o aspettativa, lo scrisse sinceramente e senza ghirigori.
Gli uscirono tutte le rime e si ritrovò inaspettatamente sul quaderno di nuovo una poesia miracolosa.
Quindi la usò. Per far comparire il fuoco nel camino, le luci sull’albero, il cibo sulla tavola e gli amici sulle sedie.
Il giorno dopo, pensò, che era giusto Natale, quella stessa poesia, la avrebbe regalata a tutti.
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