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Il poeta che ha perso le rime

12/15/2022

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Era il primo dicembre di un anno dimenticato e il poeta ancora non trovava la rima.
Aveva scritto la poesia più bella che si fosse mai sentita su tutta l’isola.
Di nascosto, aveva fatto leggere le bozze allo stregone, raggiungendolo nella grotta. Il vecchio era tutto rincantucciato in fondo perché in quella stagione, le onde entrano dentro e bagnano pentole e stracci.
Era bastato leggerne un verso ad alta voce che il mare era tornato al suo posto e il vento aveva smesso di ululare.
Come tutte le poesie vere, scritte da poeti veri, nei giorni di luna crescente, anche questa aveva il potere di influenzare la realtà.
Tornando a casa, il poeta si sfregava le mani. Sai, il potere che gli avrebbe dato quella poesia?
I contadini gli avrebbero pagato una gabella affinché la leggesse per far piovere o splendere il sole, il falegname, il sarto, il panettiere gli avrebbero regalato mobili, abiti, ceste di pane perché leggesse la poesia davanti alle loro botteghe e le donne gravide, purché leggesse la sua poesia alle pance gonfie, lo avrebbero ricoperto d’oro. Senza contare, quello che le ragazze avrebbero concesso ad un poeta capace di scovare e mettere in fila parole così meravigliose ed utili.
Mancava però l’ultima rima, dell’ultimo verso. Cosa importante, perché una poesia, per quanto bella, per quanto potente, senza l’ultima rima dell’ultimo verso, è come un coltello senza il manico, uno strumento efficace ma che non si può maneggiare.
Ed anzi, diventa uno strumento pericoloso, perché non sai se taglierà la corda che ti lega o se ferirà il cuore che ti tiene in vita.
Tutto questo succedeva alla fine dell’estate e al primo dicembre, niente da fare, l’ultima rima dell’ultimo verso non c’era ancora e il tempo cominciava a scarseggiare.
Come sanno tutti quelli che scrivono poesie miracolose, se il lavoro non è finito entro il solstizio d’inverno, il giorno in cui la luce vince sul buio, massimo massimo per la vigilia di Natale, allora non c’è niente da fare, quella poesia diventa inservibile, tanto vale buttarla nel camino e ricominciare da capo.
Proprio davanti al camino, proprio davanti alle fiamme, proprio pensando ai suoi versi in cenere, il poeta pensò che non si poteva permettere di fallire, tutti quei privilegi già lo ingolosivano, pensò che era inutile scervellarsi per la rima perfetta, bastava una rima qualsiasi per togliersi il pensiero.
Ma anche una rima qualsiasi non gli usciva. Si era talmente stressato alla ricerca della rima perfetta che ora gli si era asciugato tutto il serbatoio delle parole.
Poco male. Il giorno successivo gli venne un’idea imprenditoriale.
Andò da un artigiano, da un contadino e da un armaiolo dicendo che, se gli avessero anticipato una certa cifra, si sarebbero accaparrati la prima lettura.
Incassata la somma richiesta, se ne andò al mercato e, camuffandosi da monaco, comprò, al banco delle rime 6 finali perfetti nuovi nuovi, ancora freschi. Per maggiore sicurezza si fece dare anche un sacchetto di assonanze sfuse appena uscite dalla macchina.
Arrivato a casa, provò ad incastrarle una ad una alla fine della sua meravigliosa poesia e, dopo un paio di ripensamenti, scelse una rima ricercata, una parola obsoleta, piena di ghirigori che lo avrebbe fatto sembrare un poeta non solo ispirato, non solo sensibile, non solo talentuoso ma pure cólto.
Quando si trattò di leggerla in pubblico, sulle prime, bambini, donne e uomini del villaggio sembrarono rapiti ma con grande disappunto di tutti, si capì ben presto che non solo la poesia non restava in mente e non lasciava nell’animo quella scia di languore che le poesie miracolose lasciano, ma che, catastrofe delle catastrofi, non faceva i miracoli.
E, come capirete, una poesia miracolosa che non fa miracoli, vale tanto come un calzino bucato o un ombrello che lascia passare la pioggia.
La realtà restava esattamente com’era prima, né migliore, né peggiore, anche se, viste le aspettative, sembrava peggiore.
La notte di Natale il poeta si trovava ancora di fronte al camino, questa volta spento però. I soldi che aveva dovuto restituire lo avevano lasciato sul lastrico e non poteva permettersi né legna, né regali, né addobbi, solo una minestra scialba di verdure bollite.
E così si sentiva lui, scialbo e scolato come una zuppa malriuscita.
Lo scrisse di getto per togliersi quel pensiero dal cuore, lo scrisse senza alcuna pretesa o aspettativa, lo scrisse sinceramente e senza ghirigori.
Gli uscirono tutte le rime e si ritrovò inaspettatamente sul quaderno di nuovo una poesia miracolosa.
Quindi la usò. Per far comparire il fuoco nel camino, le luci sull’albero, il cibo sulla tavola e gli amici sulle sedie.
Il giorno dopo, pensò, che era giusto Natale, quella stessa poesia, la avrebbe regalata a tutti.
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