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O l'anima o il pozzo: storie della Kolyma

3/24/2021

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Ci sono due cose che fanno tremare Varlam Tichonovič Šalamov, una è l’inverno, l’altra è la T di Torino.
Se vi chiedete come può una lettera fare tanta paura ve lo spiego io, se non è la T di Torino ma è la T di Trozkista e ce l’hai cucita su una tuta in un campo di lavoro stalinista equivale ad una condanna a morte.
Invece l’inverno lo odia perché è stato arrestato sempre in inverno e perché all’interno della regione della Kolyma è sempre inverno.
Fate conto che la Siberia è la zona più inospitale dell’Asia e la Kolyma è la zona più inospitale della Siberia. Un posto dove la temperatura arriva fino a -60’ gradi.
I detenuti non hanno termometri però riescono a capire che temperatura c’è osservando la natura: se la nebbia è gelata siamo a -40’, siamo a -45 se il fiato fa rumore uscendo dal naso, se si inizia a far fatica a respirare allora è -50, oltre i meno 55 lo sputo si ghiaccia in volo.
È una regione ricca d’oro, di giacimenti minerari ed ogni baracca di ogni gulag deve raggiungere una certa quota di estrazione di materiale grezzo altrimenti viene punita.
Ed è per quel motivo che quella mattina tutti i detenuti nella baracca dove è detenuto anche Salamov sono schierati nel cortile.
Devono essere messi dentro un buco, per una settimana, perché non sono arrivati alla quota e nonostante siano attimi drammatici per noi che guardiamo da fuori questa scena assume caratteri persino comici.
Le guardie stanno raccogliendo le protesi di ognuno: è una scena grottesca: chi da l’occhio di vetro, chi la gamba di legno, chi la stampella, fino a che la guardia non arriva davanti a Salamov.
Lui è giovane, ha un fisico ancora integro, quindi la guardia gli dice di consegnargli le sue protesi e lui risponde che non ne ha.
La guardia, a quel punto, per fare la spiritosa, mentre sta proseguendo, butta lì una frase, dice: “vabbè, vorrà dire che tu mi darai la tua anima.”
Salamov, racconta di non aver neppure deciso di rispondere, ma dallo stomaco gli è salito come uno sbuffo di fiato, come un singhiozzo e ha detto: “No.”
D’improvviso la guardia si ferma, torna indietro, interdetta, più incuriosita che incattivita e gli dice: “cosa?”
E lui, di nuovo, senza averlo davvero pensato, ripete: “No”.
Ora la guardia si sente sfidata, non capisce cosa stia davvero succedendo ma non può arretrare e aggiunge: “Guarda che se non mi dai la tua anima, nel pozzo, ti ci faccio stare due settimane”.
Credo che Salamov si sia maledetto ma abbia capito che ormai non poteva tornare più indietro e ribadisce: “No.”
“Allora tre settimane nel pozzo”
E Salamov ancora “No.”
“Quattro settimane nel pozzo”, cioè praticamente morte certa e Salamov ancora: “no, io la mia anima non te la do”.
Lo prendono e lo gettano nel pozzo.
Come detto, è ancora giovane, è forte, ne uscirà, con delle piaghe, con dei danni alle ossa ma ne esce.
Anni dopo, quando gli chiedono di questo episodio, lui risponde: “È incredibile, io ho rischiato di morire per difendere una cosa che non pensavo nemmeno di avere ma che, nel momento in cui me l’hanno chiesta, ho capito era la cosa più preziosa che possedessi.”
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