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La leggenda dei capelli color del bosco

4/18/2021

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In paese c'era una ragazza che si chiamava Ida e aveva i capelli del colore del bosco ma luminosi, come se fosse sempre un giorno di sole e si diceva che se il vento li scuoteva, si sentiva un profumo di viole, si diceva pure che quei capelli fossero capaci di rivelarle i progetti della natura.
Quel vento sottile però che fischiava fra i capelli di Ida e annunciava profumi e meraviglie fu spezzato una sera d'inverno sepolta dalla neve.

Se ne stavano tutti attorno al tavolo della cucina a scaldarsi vicino alla stufa e a fare i conti del cibo messo via, sperando bastasse fino al disgelo. Le tendine si attaccavano ai vetri e fuori c’era un silenzio lunare e solo la terra sembrava sentirsi al sicuro sotto quella coperta che, alla luce della sera, appariva azzurrina e tremolante.
Fu forse per quel silenzio che non si accorsero dei due signori che, nonostante calzassero scarponi e portassero sulla schiena due voluminosi sacchi di iuta, nessuno aveva sentito arrivare. Si diedero conto della loro presenza solo quando sentirono sbattere forte alla porta e tutti si destarono, ognuno dal suo particolare e personalissimo silenzio.
Quando entrarono in cucina sembrarono a tutti due giganti con quegli enormi cappotti con le tasche strapiene di fazzoletti, fogli, castagne d’india per non raffreddarsi e coltellini a serramanico per tagliare formaggio e rami; in più avevano pure certi scarponi che sulle pietre del pavimento facevano un rumore secco e in testa due cappellacci che contribuivano ad aumentare il loro volume.
In realtà, non appena si tolsero i cappotti e posarono i cappelli sul tavolo, si rivelarono per quelli che erano: due signori di altezza media, anche piuttosto smilzi, stanchi di camminare, con i loro baffi folti e uno sguardo a metà fra il birbante e il rassegnato.
In paese li conoscevano, si chiamavano Filippo e Costanzo, figli di Carlino, venivano giù da Elva e cercavano capelli belli da tagliare.
Quell’inverno i capelli di Ida erano arrivati a toccare il fondo della schiena e anche se, per pudicizia, li teneva sempre raccolti o sotto un fazzoletto, bastava vederne una ciocca per capire che erano speciali. Avevano il colore del bosco e splendevano anche di notte come una grande cascata di lucciole. 
Quell’inverno però sembrava promettere di essere così lungo e duro che qualche soldo in più avrebbe fatto comodo, avrebbe garantito di arrivare a primavera anche se fossero finite le scorte in anticipo.
Per questi e per chissà quali altri strani e imperscrutabili disegni del destino, i suoi parenti accettarono di vendere i capelli di Ida e anche quelli di sua sorella, Rosa,  ai pellasiers di Elva che, nel momento in cui Ida tolse il fazzoletto e lasciò cadere la chioma sulla schiena, rimasero con le forbici a mezz’aria.
I capelli più preziosi erano il vero bianco, il vero biondo e il vero nero, senza parlare dei rinomatissimi capelli color bianco cenere ma quel colore e quella luce non si erano mai visti sulla testa di nessuna ragazza.
Li tagliarono con cura, con garbo, in silenzio, mentre Ida se ne stava ferma senza protestare, mentre Rosa invece singhiozzava sommessa come un gatto, sapeva che avere i capelli così corti era come dichiarare la propria miseria.
Ad entrambe lasciarono solo una corona di capelli, quelli di Ida erano ancora belli ma senza quello sfavillio interno che, un attimo prima, sembrava illuminare la stanza più del fuoco della stufa.
Si raccontano molte leggende riguardo al destino dei capelli di Ida. Ce n’è una però che sembra la storia più probabile: pare che, quando i capelli color del bosco arrivarono al mercato, nessuno fu in grado di farne una valutazione.
Ogni parametro, finezza, ondulazione, colore, lunghezza, era inefficace. Così furono riportati ad Elva ed affidati alla vedova Garnero, la più brava lavoratrice di capelli del paese; anche lei però si accorse che c’era qualcosa di magico in quei capelli che sembravano conservare un vento sottile al sentore di viole che li scuoteva anche al chiuso di una stanza. Quando con il ferro provava ad avvitarli, ad arrotolarti come a farne un pan di burro, quelli si ribellavano, si agitavano come se fossero la criniera di un cavallo lanciato al galoppo. Anche quando tentò di rivoltarli, immergendoli in acqua calda e soda, in modo che le radici andassero tutte insieme, anche in quel caso, i capelli si comportavano capricciosamente, mettendosi a danzare nell’acqua come una coda di pesce.
L’unico risultato fu che divennero opachi e assunsero un banale color marrone, non solo non più prezioso ma neppure utile. Perciò, alla fine, la vedova Garnero si arrese, li lasciò asciugare e non badò più ad essi per qualche giorno.
Quando tornò a posare lo sguardo sui capelli di Ida, quelli inspiegabilmente avevano ripreso il loro color di bosco e la loro lucentezza di lanterna e si erano messi uno accanto all’altro, calmi, ordinati, come in attesa di essere lavorati. Cosi, la signora, senza applicare loro nessun trattamento, li raccolse in una parrucca, la più bella parrucca mai realizzata, degna di un re.
La voce trapelò e le più grandi personalità di Francia ed Inghilterra iniziarono a disputarsi la parrucca alzando il prezzo come ad una folle asta in cui nessuno sembrava voler mollare.
Infine, ricordando come i capelli si agitavano al vento anche quando il vento non c’era, fu la stessa signora Garnero a capire come la situazione andava risolta: non al miglior offerente ma ad una persona che fosse pratica di vento, doveva essere regalata, e non venduta, quella parrucca color del bosco.
Da qui la storia si fa intricata e nebulosa e le notizie si fanno sempre meno certe. Pare comunque che la parrucca finí in Francia e che fosse capace di rivelare i progetti della natura a chi la indossava e che lei stessa, la parrucca, scegliesse il proprio o la propria padrona, investendola o investendolo con un refolo di viole. Si dice infatti che molte volte, viste le virtù che le erano attribuite, fosse stata rubata e altrettante volte, attraverso rocamboleschi ghirigori del destino, trovasse il modo di ritornare in possesso di chi riteneva degno del suo color di bosco, della sua lucentezza e del suo vento sottile al sentore di viole. 
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