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L'appuntamento di Max

6/24/2021

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La sera del 18 agosto 1917 il tramonto su Salonicco è rosso e non è bello da guardare. Ci sono fiamme che salgono dai quartieri poveri, alimentate dal legno delle casupole in legno, avanzano verso il mare. Nessuno approfondirà mai del tutto come questo incendio è stato appiccato. Si dirà per un incidente domestico. Secondo altri, il vento freddo che stava iniziando a soffiare su tutta Europa cominciava a farsi sentire anche in Grecia.
Iniziano ad arrivare boati sordi che fanno tremare le ossa e lo stomaco, sono i depositi di benzina e petrolio che esplodono. La luce del fuoco si allunga sull’acqua, la città cola come in un brutto quadro dai colori sbagliati.
Chi può salta sulle barche e si rifugia al largo, l’acqua per spegnere l’incendio non c’è, il fronte di fuoco avanza, arriva fino ai quartieri residenziali, uccelli cadono in volo, scoppiano le vetrine dei negozi, arde via Venizelos, coi suoi grandi magazzini, piazza della Libertà, tutti i quartieri, fino alla Torre Bianca. Neppure San Demetrio può nulla.
Il fuoco invade la sua basilica, distrugge i mosaici bizantini. All’alba la città non c’è più.
Fra le molte case distrutte, c’è quella di Ester e Samuele. Sono costretti ad andarsene insieme ai loro figli, Dasy e Salomone.
Con quei nomi lì, l’aria non è buona per loro.
Salgono sul primo piroscafo in partenza, è diretto a Napoli, è il 30 Novembre del 1918. Inizialmente non avevano bene idea di dove si sarebbero fermati ma quando il piroscafo arriva in rada e Napoli scintilla nella luce fredda del primo inverno, quella luce che c’è solo a Napoli, che se c’è il sole sembra sempre primavera, pure se mancano pochi giorni a Natale, e il Vesuvio che si stacca dallo sfondo con il suo filo di fumo nero, i rumori del porto che assaltano le orecchie appena metti il piede sulla banchina e le persone che sorridono, semplicemente, sorridono.
A quel punto Ester e Samuele pensano che, forse, Napoli è un bel posto dove vivere.
Vengono accolti e restituiscono. La loro famiglia compra un appartamento e lo dona al rabbino della città per la piccola comunità ebraica.
C’è ancora la sinagoga, è bellissima, andatela a vedere in via Cappella Vecchia.
E nel 1918 nasce anche Max. Ha un appuntamento con il destino in quella città. A Napoli infatti nascerà l’amore della sua vita, una bambina di origine polacca che, come lui, avrà una vita segnata dal fuoco perché il padre, Giovanni, perderà la vita in un incendio nel cinema in cui lavorava come operatore, come Alfredo in “Nuovo cinema Paradiso”.
Ma Iole deve ancora nascere e Max non gattona ancora. Prima di innamorarsi Max deve attraversare la Storia e la Storia in quegli anni sta scrivendo pagine orribili ma, come diceva qualcuno che sapeva di poesia, quando l’ombra è nera significa che, qui e là, si possono trovare scorci di luce accecante.
Nel 1942 iniziano i rastrellamenti a Napoli e Max non viene deportato solo perché è istruito e così i nazisti possono sfruttarlo ma almeno si salva la vita.
Nel frattempo il comune di Tora e Piccilli, nel casertano, aveva fatto richiesta di “braccia” per i lavori nei campi, gli uomini che la lavoravano erano tutti a fare la guerra. Max, quindi, insieme ad altri ebrei napoletani, fu precettato e inviato sul posto.
All’inizio gli abitanti del paese erano spaventati dall’avere degli ebrei fra loro, un po’ perché li consideravano “strani”, un po’ perché la propaganda era arrivata anche lì, un po’ perché temevano che i nazisti lo venissero a sapere e se la prendessero anche con loro, indiscriminatamente.
Nel paese però c’era una baronessa, si chiama baronessa Falco e un parroco, che evidentemente Dio lo aveva capito meglio di altri. Parlarono tra loro, parlarono con la popolazione e alla fine non solo li accolsero ma la baronessa, che aveva una casa grande con magnifici affreschi alle pareti, permise a queste persone di usarne una parte per le loro celebrazioni.
Solo che alla fine i tedeschi, in effetti, lo vennero a sapere, vennero a sapere che, in quelle campagne, c’erano degli ebrei. Andarono quindi per prelevarli ma, quando arrivarono, trovarono solo dei contadini e dei braccianti, mischiati alla popolazione locale e senza documenti, non poterono fare nulla.
Grazie a questo lampo di luce accecante nel buio più nero del ‘900, Max ebbe la possibilità di arrivare puntuale all’appuntamento con il suo destino.
Nel 1959, nel suo studio, arriva una ragazza per fare un colloquio come segretaria, si chiama Iole.
Dopo tre mesi saranno marito e moglie, una coppia bellissima, oddio, ad essere sinceri la bella è lei, lui non proprio; lui è piccolo, magro, con i capelli neri, gli occhialoni, il nasone. Insomma, per essere ebreo è un bel cliché. In più, per aderire perfettamente allo stereotipo, parla tre lingue, ha studiato economia e commercio ed è un bravissimo contabile ma cosa più importante, a sentire quel che dice Iole “Era bruttino ma con un’intelligenza rara e un cuore infinito”. Un cuore così infinito che, nonostante tutto, non ce l'aveva neppure con i tedeschi, diceva solo: "Beh, peccato che siano un po' antisemiti..."
E la cosa più bella degli appuntamenti compiuti di solito arriva alla fine, in questo caso la cosa bella è: "(voce di Iole) La cosa bella quando, insomma, ormai ci eravamo fatti vecchi tutti e due e lui non stava bene, una volta, poco prima che se ne andasse, mi ha detto, dice: meno male che ti ho sposata, sono contento di averti sposata..."
È così che la storia va, sia quella piccola, delle persone, sia quella maiuscola, dei popoli, per arrivare fino in fondo contenti e compiere il proprio destino, oltre ad arrivare puntuali ai suoi appuntamenti, bisogna incontrare qualcuno che, lungo la strada, anche se la notte è scura, accenda una lampada e ti dia una mano.
Se ti va di sentire un'altra storia "romantica", prova a LEGGERE/ASCOLTARE questa!

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