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A sangue freddo

3/23/2022

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C’è un limite nei consueti romanzi di fiction, mancano di verità o almeno non riescono a raccontare la società. Così, mentre sta leggendo il New York Times, la mattina del 16 novembre 1959, Truman Capote rimane con la tazza di caffè a mezzaria. È solo un trafiletto: un contadino benestante del Kansas, tale Herbert Clutter, sua moglie Bonnie, Nancy e Canyon, due dei suoi quattro figli, sono stati uccisi. Nella testa di Truman si accende una scintilla, forse questa può essere la storia che cercava, la storia che ci vuole, quella storia, fra le storie, che merita di essere raccontata. Chiama la sua amica d’infanzia, Harper Lee, anche lei scrittrice e insieme partono per Holcomb. Qui, prima che partano le indagini, iniziano a parlare con la gente, a chiedere, a capire, vogliono sapere, fanno congetture e intanto prendono appunti, scrivono pagine, appuntano nomi, luoghi, tragitti. Ci vorranno sei settimane prima che la polizia esca dalle tenebre in cui ha brancolato per giorni. La soffiata di un carcerato, un furto d’automobile di due sbandati, un lungo interrogatorio ed ecco che Perry Edward Smith e Richard Hickock sputano fuori tutto nella migliore tradizione del male e della sua banalità. Pare che i due, in carcere, avessero sentito di un agricoltore che avrebbe avuto una cassaforte piena di soldi, così, con queste vaghe informazioni, entrano in casa della famiglia Clutter, non trovano la cassaforte ma trovano Herbert, Bonnie, Nancy e Canyon e la cose vanno come vanno. Per i successivi sei anni Truman Capote lavora al suo libro, probabilmente il primo "romanzo-reportage" o "romanzo-verità" della storia della letteratura e per farlo frequenta assiduamente molti protagonisti della vicenda. La scelta di raccontare i delitti di Holcomb, avrà molte conseguenze, sia sull’opinione pubblica che lo tratta come una specie di morboso voyeur eppure freddo e distaccato, sia sulla sua esperienza emotiva tanto che questo sarà l’ultimo romanzo che porterà a termine. C’è uno doloroso stridore quando esce l’ultima puntata della storia sul New Yorker. Viene festeggiata con un ballo in maschera al Plaza Hotel. Negli anni successivi, Truman Capote, sarà spessissimo ospite di trasmissioni tv e rotocalchi. Il romanzo si chiama “A sangue freddo” e, secondo alcuni, non poteva essere altrimenti.
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