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Claudio Tamburrini

11/14/2022

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Tra pochi giorni inizierà il mondiale in Qatar, un mondiale molto criticato per il mancato rispetto dei diritti umani del Paese ospitante, ribadita anche pochi giorni fa da Khalid Salman, ambasciatore della manifestazione, con una progressista dichiarazione sull’omosessualità.
In molti si sbracciano a dire che lo sport non dovrebbe avere a che fare con la politica, la verità è che non è così, lo sport è stato sempre politica, cosa che non migliora il giudizio, anzi lo peggiora.
Per questioni economiche, siamo e siamo stati disposti a passare sopra a schifezze di ogni tipo, purché i riflettori si accendessero e i coriandoli bianchi nevicassero in campo.
Uso questa immagine perché è stata questa l’immagine venduta al mondo del mondiale di Argentina del 1978 quando la dittatura di Videla sequestrava, torturava e faceva scomparire centinaia di ragazze e ragazzi prima e durante le imprese calcistiche di Mario Kempes.
Uso questa immagine perché dopo che in plaza de Mayo ho visto madri diventate nonne sfilare con fazzoletti bianchi sui capelli, per chiedere in silenzio e con dignità, dopo quasi 50 anni, che fine abbiano fatto i loro figli, per me il bianco è quello dei loro foulard e non quello dei coriandoli.
Circa un anno prima del mondiale, il 23 novembre del 1977, Claudio Tamburrini, il portiere del club Almagro, viene prelevato a casa dai militari e portato alla famigerata Mansiòn Serè. Claudio ha questo difetto che, oltre a giocare a pallone, gli piace pensare, studia filosofia all’università, e chi pensa non piace a qualunque dittatura, autocrazia e probabilmente, a sentir quel che si dice, neanche all’emirato di Doha.
Non si sa se un suo compagno, un certo Tano, non abbia retto alle torture delle milizie o se semplicemente gli abbiano trovato il suo nome sull’agenda, tanto poco bastava, quello che si sa è che lo tormentano per quasi 120 giorni, senza formalizzare un’accusa, senza spiegargli nulla, senza ovviamente dirgli che fine fanno i suoi compagni di prigionia che ogni tanto spariscono e non tornano più.
Il 24 marzo del 1978, Claudio, con i suoi compagni di cella, Fernandez, Carlos Garcia, Daniel Rusomano, danno vita ad una rocambolesca fuga, si calano nudi da una finestra, appesi a lenzuola strappate, lui lascia, a sberleffo, una scritta su un muro, dedicata al suo torturatore, poi corrono,
una donna da loro rifugio, li veste con abiti del marito, lui si rifugia in una cantina, vive da latitante e il 25/6/1978 vede da un televisore di calle corrientes Ubaldo Fillol alzare la coppa del mondo sotto una pioggia di coriandoli bianchi.
E forse è stato persino contento perché alla fine il calcio fa tornare bambini, lo si guarda, lo si gioca, se ne parla senza pensare al resto, perché è un gioco, è cosa da bambini che ogni tanto i grandi usano per fare schifezze.
E anche stavolta sarà così, guardaremo le partite in Qatar con gli occhi dei bambini, pure se l’Italia non c’è, pure se dietro è un gioco di politica, di soldi, di sopraffazione e di tante altre schifezze.
Oggi Claudio Tamburrini è professore di filosofia all’università di Stoccolma, dove è fuggito dopo il periodo di latitanza. È tornato in Argentina solo una volta da allora per testimoniare al processo alle giunte militari.
Ad oggi è l’unico calciatore professionista desaparecido. Uno dei pochissimi sequestrati che siano tornati.
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