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Gli adoratori del cocco

8/17/2022

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Tedesco, vegetariano, scosso da una specie di sturm und drang, con velleità artistiche, persino seducente nel suo entusiasmo, più folle che gioioso, alla ricerca di uno stile di vita sano, di una maggiore vicinanza alla natura, August Engelhardt è disgustato dalla vecchia aristocrazia prussiana, per non parlare della nuova borghesia bottegaia.
Ha in testa una vita diversa, molto diversa.
E quando nel luglio del 1902 riceve una cospicua eredità, coglie la palla al balzo e parte per l’arcipelago di Bismarck, oggi parte della Papua Nuova Guinea, allora dominio del Reich, qui compra per 41.000 marchi, 75 ettari  di terreno a Kabakon, un’isola corallina, i cui 50 ettari restanti sono una riserva naturale in cui vivono 40 melanesiani.
È il solo bianco, insomma. Costruisce una casetta, si denuda e inizia a cibarsi di noci di cocco.
Sì, perché Engelhardt aveva una curiosa convinzione: è persuaso che il cocco sia un frutto divino.
Ora, è vero che il cocco è un frutto straordinario, offre proteine e acqua potabile ma per lui c’è molto di più. Siccome Dio è il sole e il cocco è il frutto che cresce più vicino al sole, cioè a Dio, non può che essere il cibo per eccellenza, forse è Dio stesso. Ragionamento semplice ma, secondo lui, inattaccabile.
Il fatto che, dopo poco tempo, gli si presenti un’ulcera sulla gamba destra, non lo smuove: è certamente colpa di un passato speso a nutrirsi in modo scorretto.
Essere però l’unico coccovorista al mondo non lo rende felice, sente il desiderio di condividere con altri questo stile di vita che, nei momenti di più grande esaltazione, pensa possa renderlo addirittura immortale.
Così, propaganda la sua idea in Germania offrendosi persino di pagare le spese di viaggio per eventuali nuovi adepti.
I risultati non si fanno attendere e una modesta truppa di squilibrati, sognatori, viaggiatori, delusi dalla società materialista guidata dal Kaiser Guglielmo II, arriva sull’atollo.
Alcuni muoiono presto per denutrizione, infezioni o malaria, tanto che le autorità tedesche della Nuova Guinea chiedono ad ogni nuovo arrivato di pagare una salata cauzione prima di ricevere il visto di ingresso. Questi soldi, spiegano, serviranno a pagare le cure ospedaliere di cui avranno sicuramente bisogno.
Fra omicidi, amicizie paranoiche, truffe, cannibalismo, automutilazioni, malattie orrende, la situazione sfugge di mano molto presto tanto che le autorità vietano a chiunque di unirsi alla comunità sancendo la fine effettiva del culto.
Engelhardt rimane così sempre più solo, fatta eccezione per gli indigeni che lo hanno sempre guardato come uno strambo occidentale che non dava granché fastidio e con l’unica sporadica compagnia di alcuni turisti tedeschi che, immancabilmente, gli chiedono una foto. Abbiamo così una documentazione fotografica della sua degenerazione fisica che dura fino al 6 maggio del 1919 quando trovano il suo corpo sulla spiaggia.
L’ultimo dei suoi adepti morirà sei giorni dopo all’ospedale di Okopo.
Si conclude in questo modo la grande epopea del culto degli adoratori del cocco.
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