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La scomparsa delle lucciole

4/18/2021

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Subito dopo la Messa, faceva un freddo che gelavano gli uccelli in volo, se ne stavano anche loro ammucchiati nei nidi ad aspettare che calasse la tramontana.
Quando la gente si parlava per strada non si sentiva nulla, le parole si ghiacciavano a mezz'aria e solo verso le 10 del mattino dopo, se spuntava il sole, si scioglievano e tutti potevano sentire un brusio arrivare dalla via.
Aveva già nevicato due volte, non si sentiva un rumore nemmeno drizzando le antenne, solo lo scricchiolio dei rami e dei cespugli cristallizzati dal ghiaccio.
Finiva la messa e si andava tutti nella stalla, là c'erano le bestie che facevano caldo e pure una stufa. Ognuno portava un pezzo di legno e si tirava avanti per un bel po'.
C'è anche una parola in nord Europa per quella sensazione di stare insieme al caldo quando fuori fa freddo, gli olandesi la chiamano "Gezelligheid", in danese si dice "Hygge", Gemütlichkeit in tedesco o "Kodikas" in finlandese, spero di averle scritte bene.
Nelle lingue mediterranee è più difficile trovare un termine così, forse perché da noi fa più caldo, eppure negli inverni che mi raccontavano i miei nonni si andava nelle stalle a fare le veglie. 
C'era sempre uno che raccontava una storia, anche uno che veniva da fuori qualche volta, si chiamavano "cantastorie" e, in cambio di un formaggio e un po' di pane, ti raccontavano storie mitologiche o poemi cavallereschi o più semplicemente ti dicevano cosa succedeva nei paesi vicini, magari pure aiutandosi con una chitarra e con qualche rima.
Spesso le storie, passando di bocca in bocca, a forza di raccontarle, si distorcevano a tal punto che partivano pettegolezzi e arrivavano favole, miti, leggende.
Ecco, secondo me, quelle veglie suscitavano quel sentimento lì. Bisognerebbe trovare una parola anche in italiano, o in spagnolo o in greco, chissà, magari c'è e sono io a non conoscerla. 
Comunque quelle veglie si facevano pure d'estate, non nelle stalle ma magari in un prato d'erba medica quando le cicale lasciavano il posto ai grilli.
Mia nonna faceva sempre una croce in terra, la faceva davanti alla stalla, d'inverno, soprattutto nelle nere notti di pioggia o sul limitare del prato, in estate, soprattutto quando lo scirocco scaldava le teste.
La faceva per tenere lontani gli spiriti cattivi, il diavolo, insomma, perché il diavolo, dentro le storie, non ci può entrare. 
D'estate faceva la croce, guardava giù nella valle e spesso si incantava a vedere uno sterminato tappeto di lucciole. Quando le vedeva era contenta perché, va a sapere per quale motivo, pensava che se brillavano le lucciole, niente di male poteva succedere.
Poi è capitata questa cosa all'inizio degli anni '60, soprattutto intorno alle città più industrializzate, del nord. Quelle sputavano inquinamento dalle ciminiere e nelle campagne le lucciole, pian piano, nelle campagne sono sparite e, con le lucciole, è sparita anche quella civiltà che si riuniva insieme con quel sentimento di Gezelligheid, quella civiltà che faceva una croce in terra prima di raccontare una storia per evitare che il diavolo ci entrasse dentro.
E così, dopo, secondo me, un po' ci è entrato. Il diavolo è entrato dentro le storie. 
Dovremmo inventare una parola anche noi, una parola nostra, mediterranea, per recuperare quel sentimento di stare insieme a sentire una storia senza che il diavolo ci entri dentro.
Magari così riaccenderemmo le lucciole e nulla di male ci potrebbe succedere. 
Questa metafora della lucciole è stata formulata la prima volta da Pier Paolo Pasolini. Se ti va di LEGGERE/ASCOLTARE la sua storia, CLICCA QUI!

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