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La signora che esplode

3/19/2021

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C’è una signora che vive sulla riga dell’equatore e che, di mestiere, conserva le storie, le pulisce, le essicca, le trasforma e non le dimentica. È grassissima, sembra esplodere da un momento all’altro, perché è piena di storie.
Quella signora sembrava dover esplodere da un momento all’altro.
Tutto in lei esplodeva.
Esplodeva il suo sorriso quando allargava le labbra di uva spina e il suo volto nero veniva come illuminato da una fila di denti bianchissimi che teneva forti e sani masticando una foglia dal nome strano.
Esplodeva la risata, quando la bocca si apriva e ne usciva una cascata di suoni sguaiati eppure piacevoli, allegri, che non si curavano di rumore o vergogna, ma eruttavano spontanei come un botto di gioia.
Tutti nel villaggio la chiamavano “Mamà”, ma non con la confidenza con la quale si chiama la propria madre, il suono conteneva un certo rispetto e anche la consapevolezza che lei non apparteneva a nessuno, eppure a tutti. Al contrario, seppure non avesse mai partorito una creatura, tutti sentivano di appartenerle come se fossero figli suoi.
La sera si ritirava nella sua capanna ed una piccola fila di persone attendevano fuori. Entravano uno alla volta e le raccontavano le loro storie, soprattutto quelle di rabbia, dolore o malinconia, perché è soprattutto dei fardelli pesanti che ci si vuole svuotare.
C’era quello che sentiva una spinta ad andarsene ma non sapeva se attraversare il grande lago, quello che non era abbastanza coraggioso per la caccia, la donna che aveva perso un figlio, la vecchia che aveva paura di morire, l’uomo che sentiva un peso che gli fiaccava lo spirito.
Lei doveva ascoltare la storia e poi ingoiarla, senza farne cadere neppure una sillaba. Doveva stipare tutte le storie nel cuore e nella mente e, per nessuna ragione al mondo, doveva dimenticarle perché tutta quella roba poteva servire alla comunità un giorno, perché spesso veniva chiamata a raccontare le vecchie storie di chi non c’era più e le aveva depositate in lei per non morire del tutto. Era il suo lavoro.
Per via di tutto questo, non sempre dormiva bene e la mattina aveva gli occhi arrossati e sporgenti che sembrava volessero saltarle fuori dalle orbite e la pancia gonfia sul punto, anche quella, di esplodere.
Per fortuna Mamà aveva il privilegio di dormire fino a tardi, era sollevata dal lavoro, altri le portavano frutta e ortaggi, altri pescavano per lei.
A lei spettava quell’altro lavoro, più doloroso, diversamente faticoso.
Durante il giorno pian piano si sgonfiava. Poco a poco puliva le storie che aveva sentito, trasformava certa rabbia ruvida come sabbia in una risata, certa malinconia in gesti gentili che le colavano dalle dita come il miele, certi dolori in una musica aggraziata sulla quale, nonostante la stazza, ballava.
Puliva, sfrondava, essiccava le storie dentro di sé, espellendo le parti peggiori ma senza dimenticare, quello non poteva farlo, non dimenticava, trasformava, smussava, puliva.
Ecco perché poco prima del tramonto sembrava più magra, aveva fatto il suo lavoro ed era pronta a ricominciare da capo mentre indossava una morbida, ampia vestaglia con sopra fiori e uccelli dai colori tanto intensi che sembravano, guarda un po’, esplodere.
All’orizzonte del lago Vittoria, appena sopra gli enormi alberi, una ferita di luce purpurea muoveva il cielo, un tuono e uno scroscio di pioggia violenta schiaffeggiava le foglie e un temporale era sul punto di esplodere in quel minuscolo villaggio precisamente sopra la linea dell’Equatore.
Forse anche questa storia può piacerti! Leggila/Ascoltala QUI!

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