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L'arbitro, il sig. Gallardo Perez

3/23/2022

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Negli anni ’50, in Patagonia, il vero protagonista delle partire era l’arbitro.
Se la squadra di casa vinceva gli regalavano una damigiana di vino, se perdeva lo incarceravano.
In particolare c’era una squadra, quella di Barda del Medio che in casa non perdeva mai, non perché fossero forti, perché erano banditi e nessuno voleva rimetterci le gambe o perdersi la serata del ballo dove era pieno di ragazze che scendevano dalle fattorie.
Le altre squadre del campionato, quando c’era da andare a giocare a barda del medio, ci mandavano le riserve, non provavano nemmeno a vincere. Come tutte, anche il Confluencia, era andata là per perdere, anche se schierava un ragazzo giovane che mordeva il freno per conquistarsi una maglia da titolare.
L’arbitro era un mito del campionato, Gallardo Perez, senza i denti davanti, miope, confuso e balbuziente. Come tutti era arrivato in anticipo, aveva mangiato gratis e pianificava di espellere il più forte del Confluencia già nel primo tempo e di fischiare un rigore per il Barda del medio entro la prima ora di gioco per garantirsi la damigiana, la cena e una festa in pace di Dio.
Negli spogliatoi l’arbitro dice ai giocatori del Confluencia di non fare i furbi, loro si raccomandano soltanto che lui abbia cura delle loro gambe, si stringe un accordo. Appena scesi in campo, ancora storditi dal profumo dell’olio canforato, Sergio Giovanelli, famigerato terzino sinistro del Barda, si avvicina al nostro centravanti e gli dice: “Senti, ragazzo, non fare il fesso che io ti appendo ad un albero”.
Appena fuori dalla rete metallica alcuni salici spogli si stagliavano contro il cielo grigio come un oscuro presagio. “Non si preoccupi, signore.”, disse il ragazzo. La prima mezzora di gioco se ne andò tranquilla, il Confluencia si faceva dominare ma il Barda tirava da lontano e il portiere, Cacho Osorio, doveva pararle, altrimenti il pubblico minaccioso lo avrebbe menato lo stesso perché troppo fifone. Man mano che la sfida andava avanti però, la squadra di casa era così scarsa che non riusciva proprio a segnare, neanche a stendergli un tappeto rosso in area di rigore.
Tiravano fuori, a lato, sbagliavano passaggi elementari, finivano in evidente fuorigioco. Gallardo Perez così si innervosiva ogni minuto di più. Due espulsi a caso per il Confluencia e due rigori per il Barda, così ci togliamo il pensiero: traversa e palo. Non c’era verso. Non avrebbero centrato nemmeno l’arco dell’arcobaleno, disse l’arbitro a mezza voce. Il dramma però si consumò a cinque o sei minuti dalla fine.
El flaco Ramallo, stanco di essere insultato, respinge alto, Giovanelli nel tentativo di dare una gomitata, scivola e cade e il nostro ragazzino si trova davanti alla porta. Il portiere si gonfia come un riccio ma ha le gambe più aperte di una baldracca, come qualcuno commentò finemente.
Palla fra le caviglie e gol. Al gol seguì un silenzio da patibolo, lui esultò, da solo, in ginocchio, come aveva visto fare a Pelè nelle fotografie de “El Grafico”, non sentì neppure se Gallardo Perez avesse o non avesse convalidato il gol, vide solo che il pubblico aveva fatto invasione di campo e aveva iniziato a menarlo.
La polizia ci mise un’ora ad arrivare, troppo tardi per evitare che finissero tutti ammaccati e che il signor Gallardo Perez finisse avvolto nella rete di recinzione come una carpa. Portati alla stazione di polizia, il commissario, un bruno che sembrava un indio con i capelli imbrillantinati, gli fece una bella ramanzina sull’ordine politico e lo spirito sportivo e li condannò a strappare l’erba di un campo vicino, una specie di lavoro socialmente utile ante litteram, diciamo.
Al mattino dopo, quando li scortarono fuori dal paese in un autobus senza vetri, sotto una fitta sassaiola, l’arbitro guardò brutto il ragazzo e gli disse: “Se la incontro di nuovo su un campo da gioco, io la rovino, glielo garantisco”. “Ha convalidato il gol?”, chiese lui. “certo che l’ho convalidato”, disse il signor Gallardo Perez, indignato. “Era un gol come si deve e io sono una persona come si deve”.
E prima di sprofondare in un delirio totale in cui avrebbe confuso quella partita con un'altra partita, quel campo con un altro campo e quel gol con altri gol, aggiunse: “Vede qui?”, indicando la gengiva che avrebbe dovuto contenere i due denti davanti.
“Questo è stato un gol di Sivori in fuorigioco, adesso pensi dove sta lui e dove sto io. A Dio non piace il calcio, ragazzo, perciò questo Paese va così, come la merda.”
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