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L'orologiaio del Cairo e il tempo del mondo

7/13/2022

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Ero tornato in nordafrica a cercare un vecchio orologiaio che aveva il suo sgabuzzino alla periferia del Cairo.
Non ero neppure sicuro di trovarlo, visto che, già quando lo avevo incontrato, mi pareva vecchissimo, seppur molto energico, per quanto la calura della latitudine e i gesti lenti della sua cultura glielo permettessero.
Temevo quindi di non trovarlo più ma quello che non avevo messo in conto era di non ritrovare più il suo bugigattolo, sostituito da un ristorante modesto, con orribili insegne al neon, sedie di plastica e un lungo bancone al posto di quello che era il suo piano di lavoro.
Sono entrato comunque, l’ora di pranzo era passata da un pezzo e, nonostante il luogo non fosse per niente attraente, nel quartiere sembrava l’unica possibilità per mangiare ancora qualcosa.
Mentre consumavo un piatto modesto come il locale, un ticchettio ha iniziato a salire di volume senza che capissi esattamente la sua provenienza.
Sembrava uno dei tanti ticchettii che occupavano lo spazio sonoro della vecchia bottega, anche se aveva un andamento irregolare, diverso da quello di un comune orologio, non sembrava insomma scandire un tempo comune.
La suggestione e la canicola fanno scherzi bruttissimi da quelle parti, come quando una folata di vento alza una nuvola di polvere e quando si deposita pare che siano cambiati i colori, le persone, le traiettorie, tutto il mondo che avevi visto fino a poco prima, insomma.
Per tutta la giornata quel ticchettio mi è rimasto in testa.
Tornato alla mia pensione, un basso edificio schiacciato fra alcuni palazzi del centro, mi sono messo a letto fissando la ventola che girava regolare e che mi ha fatto sprofondare in un sonno incerto, senza che il ticchettio smettesse di dettare il suo ritmo.
In quel sonno, il vecchio orologiaio mi è apparso, era in un nuovo negozio, in una nuova città, e lavorava ad un solo nuovo orologio.
Un elegante orologio a cipolla, da panciotto, che intagliati sulla scocca aveva disegni di datteri e limoni, fiori e cedri ed una scritta in arabo che nel sogno sapevo leggere ma che ora non sarei in grado di riferire.
L’orologio era composto da quattro cerchi concentrici che si muovevano a diverse velocità con un meccanismo che sembrava avere la precisione di un planetario.
Il vecchio correggeva qualcosa con un minuscolo cacciavite a stella, lo zuccotto gli stava in testa fermo come la luna piena e gli occhi azzurri, come il guizzo di un pesce, all’improvviso si alzarono e mi salutarono.
Senza che chiedessi nulla mi spiegò a quale orologio stava lavorando. Era un aggeggio che misurava varie scale temporali, mi spiegò. Il cerchio più esterno, la corona principale, misurava il tempo della natura, quello geologico.
Osservai che non si muoveva di un millimetro.
“No, si muove”, disse lui, “ma è un tempo troppo lento perché tu lo veda, “è il tempo in cui i ghiacciai scavano i canyon, il tempo in cui gli uccelli sviluppano le ali. È il tempo dell’eternità. La seconda ghiera invece misura il tempo della cultura”, continuò, “quella nostra, quella vostra, quella degli ebrei, dei cinesi o di chissà chi altri…”.
Anche quella mi sembrava ferma ma non dissi niente. Lui rispose lo stesso: “Anche questa ha un tempo troppo lento perché tu lo veda ma va molto più veloce di quella esterna.”
“E questa?”, chiesi, indicando la successiva. “Questa è quella dei governi: dittatoriali, monarchici, repubblicani. Questa la puoi vedere muoversi nel corso della tua vita oppure no. Quella successiva invece è quella delle opere: ponti, strade, canali che vengono eretti e crollano.”.
“L’ultima sembra impazzita.”, dissi.
“L’ultima è quella delle mode, stili, capricci, regolucce umane”, varia a gran velocità, tanto che i perni si usurano, ne stavo giusto sostituendo uno.”, disse mostrandomi il cacciavite minuscolo.
“E a che serve questo orologio?”
“A misurare il tempo del mondo.”, disse come se fosse cosa di piana ovvietà. “A ricordarsi di non perdere la capacità di distinguere fra le diverse scale di tempo, i governi non dovrebbero seguire il tempo delle mode, la cultura non deve ambire all’eternità e così via…ad ogni cosa la sua corona, la sua ghiera, il suo tempo.”
“E questo?”, chiesi indicando una specie di barometro che stava a lato del quadrante.
“questo è un meccanismo che divide il tempo lineare da quello prezioso, ci sto ancora lavorando”.
Mi svegliai che il ticchettio non c’era più, il sole stava tramontando in un bagno di rosso e rosa e una brezza risollevava lo spirito senza spiegarmi a quale tempo appartenesse quel momento.
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