Che arte è la fotografia? Io non ne so granché, anche se mi diverto a fare qualche scatto ogni tanto. Credo però che sia qualcosa che abbia a che fare con catturare la vita e la luce. Che forse sono la stessa cosa. Questa storia è quella di un uomo che sa come catturare la luce ed è stato capace di far rifiorire la vita dove di vita non ce n’era più, dentro e fuori di lui. Quest’uomo si chiama Sebastiao Salgado. Si parte da Almores, una città fluviale al centro del Brasile, sotto un cielo sconfinato e con alle spalle le foreste pluviali atlantiche, per passare poi per Vitoria e San Paolo dove Salgado ha iniziato i suoi studi per arrivare poi a Parigi e infine a Londra dove molla un bel lavoro per iniziare il suo progetto fotografico, sostenuto da Lelia, una donna meravigliosa che riesce ad amare e comprendere il suo uomo in maniera commovente. Non avremmo il tempo per commentare tutti i suoi progetti fotografici: Altre Americhe, Genesi, La mano dell’uomo, in cammino ecc. Ma se vuoi dare un’occhiata alle sue immagini struggenti, violente come un pugno nello stomaco, davanti all’obiettivo vedrai soprattutto persone e dietro l’obiettivo uno a cui delle persone importa davvero. Quello che voglio raccontare è quella volta che Salgado ha perso la vita e la luce e come e quando luce e vita sono tornate. Sceglie di andare in Ruanda a documentare le conseguenze del terribile genocidio dei Tutsi e vede un tale abisso di orrore che si ammala. Non aveva nessuna malattia identificabile a livello clinico ma la sua anima era inquinata, aveva visto troppa sofferenza, troppo dolore, aveva guardato negli occhi la parte più nera, feroce della nostra specie, aveva camminato all’inferno, visto che razza di animali terribili possiamo essere e aveva perso ogni speranza. Si rivolge ad un suo amico medico a Parigi, gli spiega che ha infezioni dappertutto, che quando fa l’amore con sua moglie non eiacula sperma ma sangue; il medico lo esamina e gli dice che non ha nulla, le sue analisi sono perfette ma conclude con una frase terribile, gli dice: “Non hai nulla ma hai visto troppa morte e stai morendo. Devi fermarti.” E lui si ferma. Torna in Brasile, alla fazenda, d’altronde il padre è anziano, ha bisogno di assistenza. Quello che era un paradiso fatto da grandi foreste, uccelli di ogni specie, caimani, rigagnoli, cascate, prati, in seguito al disboscamento si è desertificato ed ora il paesaggio è color sabbia, arido e brullo. A questo punto della storia, lo vedi da te, è tutto morto, il corpo, l’anima, il paesaggio. Ma a questo punto Lelia…ti avevo detto, no, che è una donna eccezionale? Ha un’idea. Forse per risollevare il morale famigliare, propone di ripiantare la mata atlantica che c’era quando Salgado era bambino. Milioni di piante. Milioni di piccole piantine che in 10 anni hanno attecchito. Oggi quella che era la fazenda della famiglia Salgado è l’istituto Terra ed è un meraviglioso paesaggio verde, un verde tenero, ancora giovane ma che crescerà. Alla fattoria oggi ci sono di nuovo uccelli e animali e insetti e prati e alberi, il suono del vento fra le foglie e una bellissima luce che lui ovviamente cerca di catturare come ha sempre fatto. Perché, nel frattempo, insieme al fiorire della terra, guariva anche la sua anima. In un bellissimo documentario di Wim Wenders lo si vede sulla sommità di una collina che osserva la foresta che lui e Lelia hanno piantato. E canticchia. Scattando foto ovviamente.
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December 2022
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